Violazione del diritto d’autore e l’obbligo degli ISP di rimuovere i contenuti illeciti

L’Internet Service Provider (ISP) è obbligato a rimuovere i contenuti illecito caricati sulle proprie piattaforme e se si, in quali casi?

La Direttiva 2000/31/CE (“Direttiva sul commercio elettronico”; recepita dal  D. Lgs. n. 70 del 2003), ha sancito l’assenza di un obbligo generale di sorveglianza per gli ISP (art. 15) e l’assenza di responsabilità nel caso in cui questi svolgano servizi di c.d. mere conduit (art. 12). In particolare l’art. 12 prevede che:

“1. […] nella prestazione di un servizio della società dell’informazione consistente nel trasmettere, su una rete di comunicazione, informazioni fornite da un destinatario del servizio, o nel fornire un accesso alla rete di comunicazione, il prestatore non sia responsabile delle informazioni trasmesse a condizione che egli: a) non dia origine alla trasmissione; b) non selezioni il destinatario della trasmissione; c) non selezioni né modifichi le informazioni trasmesse.

[…] 3. Il presente articolo lascia impregiudicata la possibilità, […], che un organo giurisdizionale o un’autorità amministrativa esiga che il prestatore impedisca o ponga fine ad una violazione.”

In maniera conforme alla norma, il Tribunale di Milano, nel caso di un sito che trasmetteva partite di calcio di squadre di serie A estratte dalle dirette online di Mediaset Premium, licenziataria esclusiva dei diritti di trasmissione, con l’ordinanza dell’8 maggio 2017 affermava che:

con riguardo alle società di informazioni, svolgano esse attività di <<semplice trasporto dati>> o di memorizzazione delle informazioni non è ravvisabile un obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni che trasmettono o memorizzano, né un obbligo generale di ricercare attivamente fatti che rivelino la presenza di attività illecite. […] Essi rispondono civilmente del contenuto dei servizi se, richiesti dall’autorità giudiziaria o amministrativa, non agiscano prontamente per impedire l’accesso al contenuto di tali servizi”.

Nel caso di specie, il carattere illecito delle attività di trasmissione era già stato accertato con provvedimento del AGCOM e dell’autorità giudiziaria, ma l’attività era proseguita. Il Tribunale ordinava l’oscuramento del sito e, attraverso il ricorso cautelare, la ricorrente otteneva che i fornitori di connessione alla rete dovessero sorvegliare perché non fosse più visibile il sito in oggetto, imponendo anche una penale per ogni eventuale violazione futura.

Dunque, il Tribunale di Milano confermava la responsabilità civile nel caso in cui in seguito a richiesta di rimozione del contenuto lesivo da parte dell’autorità amministrativa o giudiziaria, l’ISP ometta tale rimozione. Allo stesso tempo, la semplice segnalazione da parte del titolare del diritto della presenza di un contenuto lesivo, non fa scattare alcuna violazione dell’obbligo di sorveglianza. Infatti “in presenza di specifica segnalazione delle violazioni da parte della ricorrente, non può ravvisarsi alcuna violazione del divieto dell’obbligo generale di sorveglianza. Non è rimesso agli Internet Service Provider alcun obbligo di monitoraggio o di ricerca di fatto”.

Precedentemente una sentenza della Corte di Appello di Roma (sentenza n. 2883/2017) affermava, invece, che una diffida precisa e dettagliata da parte del titolare dei diritti, anche se priva degli specifici URL, fosse sufficiente a far scattare l’obbligo del provider di rimuovere tali contenuti (di un’opinione simile, il Tribunale di Torino con sentenza n. 1928/2017: l’obbligo di cancellazione dei contenuti lesivi dell’altrui diritto d’autore sorge solo in seguito a diffida che specifica gli URL relativi ai contenuti in violazione dell’altrui diritto).

Dunque, nonostante la giurisprudenza abbia statuito, alle volte, in maniera diversa, la lettera della norma della Direttiva sul commercio elettronico e l’orientamento giurisprudenziale più recente dovrebbero indurre a concludere che l’ISP è obbligato a cancellare i contenti illeciti quando questo sia richiesto dall’autorità amministrativa o giudiziaria.