Il datore di lavoro può controllare le chat su Facebook

Controllare il comportamento dei dipendenti in Facebook è lecito. A stabilirlo è stata la Corte di Cassazione con la sentenza 10955/2015 nella quale ha confermato la legittimità di un licenziamento avvenuto a seguito dei controlli effettuati sull’uso del social network durante l’orario di lavoro.

Il caso riguardava il dipendente di un’azienda, già trovato ad intrattenersi in lunghe telefonate e su Facebook, tra l’altro utilizzando non il computer aziendale ma un proprio tablet che conservava all’interno del proprio armadietto di lavoro.

Per potere avere la prova di questo uso indebito un impiegato dell’azienda ha registrato un falso profilo di donna su Facebook e tramite esso ha iniziato a contattare il dipendente che, in più occasioni, si è reso disponibile a parlare con la falsa donna anche durante le ore in cui avrebbe dovuto lavorare.

Una volta scoperto, e poi licenziato, il dipendente ha presentato ricorso contro la decisione che aveva confermato il suo licenziamento affermando che «lo stratagemma adoperato dall’azienda per accertare le sue conversazioni telefoniche via Internet durante l’orario di lavoro costituisce una forma di controllo a distanza vietato dall’art. 4 dello Statuto dei lavoratori» e quindi deve essersi considerata vietata e riprovevole.

La Cassazione ha ritenuto invece che quanto posto in essere dall’azienda è del tutto lecito in quanto non si trattava di una forma di controllo dei lavoratori bensì di uno strumento di controllo c.d. difensivo finalizzato «non già a verificare l’esatto adempimento delle obbligazioni direttamente scaturenti dal rapporto di lavoro, ma a tutelare i beni del patrimonio aziendale ovvero ad impedire la perpetrazione di comportamenti illeciti» e pertanto si poneva al di fuori del divieto a cui il lavoratore intendeva appellarsi.

Già in passato la Cassazione ha ritenuto lecito il controllo sulle strutture informatiche aziendali per conoscere il contenuto dei messaggi di posta elettronica inviati da un impiegato all’esterno dell’azienda, così come è stata ritenuta legittima l’utilizzazione di filmati video, girati al di fuori del posto di lavoro, da un investigatore privato incaricato di verificare se venissero sottratti documenti aziendali.

La Corte ha altresì stabilito che nel caso di specie la legittimità del controllo era anche avvalorata dal fatto che il dipendente, iscrivendosi a Facebook e decidendo di utilizzarlo, aveva accettato che parte dei suoi dati e delle informazioni relative al suo profilo fossero pubbliche e si è reso volontariamente disponibile ad intrattenere conversazioni con la persona che lo aveva contattato in modo del tutto spontaneo.

Il controllo difensivo posto in essere dal datore di lavoro tramite il falso profilo di donna era quindi destinato a riscontrare e sanzionare un comportamento idoneo a ledere il patrimonio aziendale sotto il profilo del regolare funzionamento e della sicurezza degli impianti a cui il dipendente era addetto e pertanto doveva ritenersi lecito. Altrettanto legittimo il licenziamento che anche su quel comportamento ha trovato il suo fondamento.