Possibile registrare come marchio una parola straniera descrittiva

La Corte di Giustizia Europea, con la sentenza del 09/03/2006 (procedimento C–421/04) è intervenuta a decidere una questione ampiamente dibattuta. Se infatti è chiaro che non si possa registrare un marchio avente carattere descrittivo, si pensi alla parola “mela” per indicare appunto le mele, ancora irrisolta era la questione se si potesse registrare come marchio una parola straniera che, come tale, in Italia non ha alcun significato, ma che lo ha in uno stato estero. La Corte a questa domanda ha adesso risposto in senso positivo.

Il caso deciso riguardava la lite incorsa tra i titolari di due marchi, entrambi registrati per contraddistinguere prodotti legati alla biancheria da camera e materassi. In due marchi in conflitto erano da un lato quello oggetto della domanda di marchio comunitario “Matratzen Mark Concord” e dall’altro quello di una società spagnola titolare del marchio spagnolo anteriore “Matratzen”, parola che in tedesco significa proprio “materassi”. Quest’ultima società, sulla base del proprio marchio, aveva presentato un’opposizione di fronte all’ufficio dei marchi comunitari per chiedere che il marchio successivo non fosse concesso. A seguito di tale opposizione la società tedesca ha iniziato un procedimento civile in Spagna per chiedere la declaratoria di nullità del marchio spagnolo proprio in quanto si tratta di un segno descrittivo dei prodotti che indica. Il Giudice spagnolo ha però deciso di rinviare la questione alla Corte di Giustizia affinché si pronunciasse sulla corretta interpretazione della normativa comunitaria.

La Corte, pure essendo stata investita della questione per un possibile contrasto con gli articoli 28 e 30 del Trattato, ha subito ravvisato che una soluzione potesse essere fornita piuttosto sulla base della Direttiva sui marchi, Dir. 21.12.1988, 89/104/CEE. Del resto spetta alla Corte offrire al Giudice una soluzione coerente per cui può esaminare anche normative che non siano state richiamate dal Giudice stesso (in questo senso: sent. 18 maggio 2000, causa C–230/98, e 20 maggio 2003, causa C–469/00).

Fatta questa premessa la Corte esamina l’art. 3 della Direttiva ed in particolare il n. 1, lett. B) che recita: “Sono esclusi dalla registrazione, o, se registrati, possono essere dichiarati nulli: (…) b) i marchi privi di carattere distintivo; c) i marchi composti esclusivamente da segni o indicazioni che in commercio possono servire per designare la specie, la qualità, la quantità, la destinazione, il valore, la provenienza geografica, ovvero l’epoca di fabbricazione del prodotto o di prestazione del servizio, o altre caratteristiche del prodotto o servizio”.

La Direttiva non prevede, però che sia vietata la registrazione di marchi costituiti da parole straniere che non abbiano alcun significato nello stato in cui il marchio viene richiesto. In Spagna la parola tedesca registrata non ha alcun significato e certo non riporta alla mente i materassi, per cui non può dirsi descrittiva dei prodotti a cui si riferisce e quindi astrattamente è registrabile.

La Corte sottolinea che, per potere valutare se un marchio è o non è descrittivo, occorre valutare come questo marchio possa essere percepito dal consumatore informato a cui quel marchio è rivolto (sentenze 4 maggio 1999, cause riunite C–108/97 e C–109/97, 12 febbraio 2004, causa C–363/99, e causa C–218/01). Nel caso di specie il marchio sarebbe rivolto al pubblico spagnolo e quindi il consumatore informato spagnolo non collega affatto la parola “Matratzen” ai materassi. Ne consegue che detta parola non può dirsi descrittiva ed il marchio può essere registrato.

La Corte lascia però aperto uno spiraglio in quanto sembra far capire che la registrazione potrebbe essere comunque negata nel caso in cui il consumatore di riferimento sia in grado di associare a quella parola un significato preciso. Il rischio è molto più forte per parole di lingua inglese che abbiano anche nel nostro stato raggiunto una diffusione tale da fare parte del vocabolario utilizzato dai consumatori. In questo caso potrebbe essere difficile sostenere che tale parola non ha alcun senso e viene percepita come astratta dal consumatore.

Altra questione non discussa è quella relativa al tipo di marchio. Se il marchio anziché spagnolo fosse stato comunitario, probabilmente la Corte non sarebbe giunta alla stessa conclusione perché il consumatore di riferimento sarebbe stato rappresentato dal cittadino comunitario che, almeno in una parte della comunità, è perfettamente in grado di comprendere il significato della parola.