Il marchio patronimico è generalmente reputato un marchio forte in considerazione dell’assenza di aderenza concettuale con i prodotti o servizi che contraddistingue e, come tale, trova protezione contro somiglianze anche minime che possano ingenerare confusione nel consumatore.
Detta asserzione riscontra tuttavia una forte attenuazione nel particolare settore vitivinicolo.
Marchio patronimico nel settore dei vini
Nel mercato dei vini, infatti, il giudizio di confondibilità fra segni denominativi e patronimici è sottoposto a criteri meno rigorosi di quanto avviene nei mercati di offerta di prodotti standardizzati di grande serie.
A riaffermarlo è stata da ultimo la Commissione dei ricorsi con sentenza n. 53 del 10 ottobre 2016, con la quale è stato accolto il ricorso avverso la decisione dell’UIBM che negava la registrazione al marchio verbale “Romagnoli” per prodotti della classe 33 (“vini”) a seguito di opposizione presentata dal titolare dei due marchi patronimici anteriori “Laura Romagnelli”, uno italiano, l’altro internazionale designante l’Italia, per i prodotti della medesima classe 33.
L’UIBM aveva ritenuto che, benché tra i due marchi a confronto sussistesse una somiglianza visiva, fonetica e concettuale solo di grado medio, potesse farsi applicazione del principio giurisprudenziale per cui un grado di somiglianza non particolarmente elevato fra i marchi può essere compensato da un grado elevato di somiglianza o addirittura dall’identità fra i prodotti. Pertanto aveva rigettato la registrazione del marchio successivo “Romagnoli”.
L’azienda soccombente aveva dunque adito la Commissione dei ricorsi contestando la sussistenza di una somiglianza tra i due segni in esame.
Giudizio di confondibilità fra marchi patronimici e denominativi nel particolare settore vitivinicolo
Ad avviso della Commissione, ai fini del giudizio di confondibilità fra segni nel particolare settore vitivinicolo devono tenersi in debita considerazione due circostanze: da un lato, i prodotti in questione sono prodotti di qualità ed in forte competizione sul piano delle differenze qualitative e del rapporto qualità/prezzo, pertanto non sostituibili tra loro; dall’altro, trattasi di un settore dominato da imprese produttrici di piccole dimensioni ed a carattere familiare dove sono spesso utilizzati nomi di famiglia in qualità di segni distintivi.
Alla luce di ciò, date le specificità del settore, può essere tollerato un certo grado di somiglianza fra marchi denominativi e patronimici, purché l’uso dei marchi avvenga in modo corretto.
Nel caso di specie l’aggiunta del prenome accanto al cognome, oltre alle differenze fonetiche esistenti, sono state considerate costituire elemento di differenziazione sufficiente.
La pronuncia in esame segue di pochi mesi la sentenza della Corte di Cassazione del 4 febbraio 2016 n. 2191, richiamata dalla stessa Commissione, con la quale era stato affermato che:
“nello specifico settore vitivinicolo è frequente la presenza di imprese commercializzanti lo stesso prodotto, facenti capo a soggetti pressoché omonimi e che utilizzano il proprio nome come ditta o marchio. Sicché, avendo – nello specifico settore produttivo in questione – il patronimico una minore valenza distintiva, l’aggiunta del prenome al cognome, in specie se accompagnato da ulteriori elementi descrittivi, è sufficiente ad escludere la confondibilità dei segni distintivi delle diverse aziende”.