Eric Goldman, professore di diritto all’Università di Santa Clara in California, studia da molti anni gli emoji ed il loro impatto nel mondo giuridico. I suoi primi studi erano rivolti alla possibilità di ottenere un’esclusiva sulle faccine usate comunemente per esprimere un sentimento o per rafforzare un’affermazione o uno stato d’animo.
Le emojis posso in astratto essere protette dalla legge sul diritto d’autore, possono essere registrate come marchio o come design. Tuttavia esse sono per loro natura immagini semplici e rappresentano un concetto che ha modi piuttosto standardizzati di espressione, per cui è difficile che possano avere un carattere creativo sufficiente. D’altro lato per la registrazione come marchio o come design devono essere usate nell’attività commerciale, e l’uso dell’emoji per la sua funzione tipica di esprimere un concetto può essere considerato solamente descrittivo. Pur essendo quindi tutelabili, la loro forma di protezione dovrà essere esaminata con cura caso per caso e non è così scontata.
Le emojis possono poi essere di due tipi: “unicode-defined” o proprietarie.Le prime sono quelle che rispettano gli standard previsti dall’Unicode Consortium che assegna un codice unico, una forma stilizzata ed una descrizione ad ogni emoji in modo che possa essere riconosciuta dalle varie piattaforme che la visualizzano. Quelle proprietarie appartengono invece alla specifica piattaforma che li usa e non sono visualizzabili su altre applicazioni. In realtà però anche le emojis standardizzate non sono visibili in modo identico nelle varie piattaforme e questo può creare problemi interpretativi, tanto che secondo un sondaggio la maggiore parte degli utenti non avrebbe usato certe icone se avesse visto come venivano visualizzate dai destinatari. Eccone un esempio tratto da un articolo di Goldman in cui a sinistra è riportato il simbolo Unicode ed a destra le diverse stilizzazioni usate dalle piattaforme:
All’interpretazione delle emojis deve essere prestata grande attenzione non solo perché si può rischiare di essere fraintesi, ma anche perché possono avere serie conseguenze giuridiche. Al pari di un testo scritto esse esprimono un sentimento ma anche una volontà e possono costituire delle vere e proprie prove. Goldman in un suo recente studio ha esaminato i procedimenti giudiziari dal 2004 ad oggi in cui le emojis hanno avuto un qualche impatto. In particolare ha esaminato un caso, verificatosi in Israele, in cui il Giudice ha condannato una parte al risarcimento del danno per non essersi comportata in buona fede durante la fase delle trattative precontrattuali. Il messaggio finito nell’aula del Tribunale riportato nello studio di Goldman è il seguente:
Il Giudice ha dedotto dall’enfasi delle icone che il proprietario aveva avuto ragione a credere che il contratto fosse stato praticamente concluso, tanto che aveva rimosso l’offerta di locazione dagli annunci. Dal contesto non si poteva dedurre il perfezionamento dell’accordo ma si poteva certo dedurre un interesse serio e concreto a stipulare la locazione di cui si dovevano definire soltanto i dettagli. A questa conclusione il Tribunale è giunto proprio esaminando i simboli presenti nel messaggio, in particolare la bottiglia di spumante ed il segno della vittoria. Se scrivere è un atto delicato, usare simboli lo è ancora di più perché il significato dato loro dal mittente può essere diverso da quello percepito dal destinatario che, oltretutto, può visualizzare l’emoji in modo diverso. Non si deve poi dimenticare che a questa doppia possibile interpretazione può anche aggiungersi quella di un Giudice che su di essa può fondare in tutto o in parte il suo giudizio in caso di lite.