Zorro: continua la parabola giudiziaria dello spot pubblicitario di Brio Blu

La Corte di Cassazione, con Ordinanza n. 38165 del 30/12/2022, è tornata a pronunciarsi sulla legittimità dello spot pubblicitario dell’acqua minerale Brio Blu, nel quale compare una caricatura dell’immagine del noto personaggio letterario. La vicenda è ormai nota alle cronache giudiziarie, essendo già stata oggetto di tre pronunce di merito e di una di legittimità, oltre all’Ordinanza in commento, a cui si aggiungerà ora un’ulteriore pronuncia della Corte d’Appello di Roma.

L’iter giudiziario

Il primo giudizio è stato intrapreso nel 2007 dalla società americana Zorro Productions Inc., quando è stato diffuso lo spot che usava il personaggio di Zorro per pubblicizzare l’acqua Brio Blu. La società affermava infatti di essere esclusiva titolare dei marchi Zorro e dei diritti di proprietà intellettuale sul personaggio letterario Zorro, creato nel 1919 dallo scrittore Johnston McCulley (deceduto nel 1958), sostenendo quindi che lo spot violasse i propri diritti di privativa.

All’esito di questo primo giudizio, il Tribunale di Roma ha accolto le ragioni della Zorro Productions Inc.,ma la decisione è stata ribaltata nel 2012, quando la Corte d’Appello di Roma ha annullato la prima sentenza affermando che il personaggio letterario Zorro fosse caduto in pubblico dominio. Alla luce di questa conclusione, la Corte d’Appello riteneva assorbente ogni ulteriore valutazione rispetto all’asserita contraffazione dei marchi Zorro.

Con sentenza del 3.01.2017, n. 32, la Corte di Cassazione ha però annullato la sentenza della Corte d’Appello, rilevando che, in forza della Convenzione di Ginevra del 1952, le opere di cittadini statunitensi pubblicate in Italia godono della stessa protezione prevista dalla nostra L. n. 633 del 1941, e cioè fino al settantesimo anno solare dalla morte dell’autore. La stessa Corte di legittimità, ha poi riconosciuto fondato il motivo di ricorso con cui era stata lamentata l’omessa statuizione sulle domande volte all’accertamento della contraffazione dei marchi riferibili al personaggio Zorro.

Così, il giudizio è stato riassunto avanti alla Corte d’Appello di Roma che, nel 2018, ha accolto le ragioni della Zorro Productions Inc., affermando che la sola utilizzazione di un personaggio di fantasia ben può integrare una violazione dei diritti d’autore in presenza di un’imitazione servile e che detta imitazione non può essere considerata lecita solo perché lo spot pubblicitario consiste in una semplice parodia del personaggio Zorro. Con riferimento ai marchi, la Corte d’Appello ha però escluso la contraffazione, ritenendo che il riferimento al personaggio Zorro risultava operato in un contesto narrativo, senza che venisse in rilievo «alcun intento distintivo». Neppure ha ravvisato un’ipotesi di concorrenza sleale «non essendo oggettivamente rilevabile nello spot, in ragione dei suoi contenuti e delle espressioni utilizzate, né un’opera di appropriazione dell’attività di valorizzazione del personaggio effettuata nel tempo dalla Zorro Productions, né un’inescusabile condotta volta a danneggiare quest’ultima».

Contro questa sentenza, la parte soccombente ha quindi deciso di ricorrere nuovamente in Cassazione, sostenendo che l’uso parodistico del personaggio Zorro sia cosa diversa dalla rielaborazione dell’opera e che, proprio perché parodistico, l’uso del personaggio non potrebbe essere considerato una violazione dei diritti d’autore. 

I principi enunciati dalla Cassazione

La Cassazione, chiamata a pronunciarsi una seconda volta sulla questione, ha di nuovo affermato che le conclusioni della Corte d’Appello vadano disattese. Dopo aver ricordato che i personaggi di fantasia godono di una tutela autonoma e indipendente da quella accordata all’opera, la Corte ha affermato i seguenti princìpi di diritto in merito alla finalità parodistica della riproduzione del personaggio di fantasia:

«In tema di diritto di autore, la parodia costituisce un atto umoristico o canzonatorio che si caratterizza per evocare un’opera, o anche un personaggio di fantasia e non richiede un proprio carattere originale, diverso dalla presenza di percettibili differenze rispetto all’opera o al personaggio che sono parodiati. […] la parodia deve rispettare un giusto equilibrio tra i diritti del soggetto che abbia titolo allo sfruttamento dell’opera, o del personaggio, e la libertà di espressione dell’autore della parodia stessa; in tal senso, la ripresa dei contenuti protetti può giustificarsi nei limiti connaturati al fine parodistico e sempre che la parodia non rechi pregiudizio agli interessi del titolare dell’opera o del personaggio originali, come accade quando entri in concorrenza con l’utilizzazione economica dei medesimi».

Per quanto riguarda l’uso dei marchi Zorro, la Corte ha statuito che:

«In tema di marchi d’impresa, avendo riguardo alla disciplina anteriore alla modifica dell’art. 20 c.p.i. attuatasi con l’art. 9, comma 1, lett. a), del D.Lgs. n. 15/2019, lo sfruttamento del marchio altrui, se notorio, è da considerarsi vietato ove l’uso del segno senza giusto motivo, posto in essere nell’attività economica, consenta di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o rechi pregiudizio agli stessi, a nulla rilevando che il marchio non sia utilizzato per contraddistinguere i prodotti o i servizi dell’autore dell’uso, come può avvenire nel caso della rappresentazione parodistica del marchio in questione».

Conclusioni

Spetterà ora al Giudice del rinvio verificare se lo spot di Brio Blu integri o meno, alla luce di tali criteri, una lecita parodia del personaggio Zorro. Per ora, dopo quasi 16 anni, il bilancio è di tre pronunce favorevoli alla società statunitense e due a sostegno della legittimità dello spot.

Non resta che attendere la pronuncia della Corte d’Appello di Roma.

Ilaria Feriti