Antitrust: la Commissione Europea multa Google per pratiche abusive in materia di pubblicità online

Tra il 2006 e il 2016, Google ha imposto ai siti web di terzi soggetti una serie di clausole contrattuali restrittive volte a limitare la possibilità ai propri concorrenti di inserire pubblicità su tali siti.

È questo quanto emerge da un’indagine della Commissione Europea avviata nel luglio 2017 e protrattasi per oltre due anni.

Secondo le dichiarazioni della Commissaria Europea responsabile per la Concorrenza, Margrethe Vestager “Tale condotta illegale si è protratta per oltre 10 anni, negando ad altre società la possibilità di competere sulla base dei meriti e di innovare e ai consumatori di godere dei vantaggi della concorrenza”. (Comunicato stampa del 20 marzo 2019)

Le condotte contestate

Attraverso la piattaforma Adsense for search, Google fornisce ai proprietari dei siti web che vogliono trarre profitto dagli spazi liberi presenti all’interno dei propri siti, pubblicità collegate alle ricerche effettuate dall’utente, agendo da intermediario pubblicitario tra tali siti (“publisher”) e gli inserzionisti.

Alcuni siti internet mettono infatti a disposizione degli utenti una casella da cui l’utente può lanciare una ricerca ed oltre ai risultati riceve anche pubblicità collegate alle ricerche effettuate. Se poi l’utente clicca su un messaggio pubblicitario, tanto Google che la società terza percepiscono una commissione.

A partire dal 2006, Google ha inserito negli accordi di fornitura di tali servizi pubblicitari stipulati con i siti web:

  • inizialmente, delle clausole di esclusiva, che impedivano ai siti publisher che si avvalevano dei servizi Adsense for search di mostrare annunci pubblicitari collegati alla ricerca dei concorrenti di Google;
  • successivamente, in sostituzione delle clausole di esclusiva, delle clausole che imponevano comunque ai siti web di riservare un numero minimo di annunci e in ogni caso di destinare gli spazi pubblicitari più redditizi agli annunci di Google;
  • infine, a partire dal 2009, addirittura l’imposizione a tali siti di un obbligo di autorizzazione scritta a Google qualora intendessero modificare il posizionamento degli annunci pubblicitari delle aziende concorrenti. Ciò consentiva, di fatto, a Google di controllare le prestazioni degli annunci dei propri competitors.

Tali pratiche impedivano, in sostanza, ai concorrenti di Google di posizionare i propri messaggi pubblicitari negli spazi con maggior visibilità e più significativi dal punto di vista commerciale.

Tali condotte non sono passate inosservate alle istituzioni europee, tanto che la Commissione Europea, ha avviato un procedimento antitrust ai sensi degli art. 11(6) del Regolamento del Consiglio 1/2003 e art. 2(1) del Regolamento della Commissione n. 773/2004, ed ha ritenuto le pratiche esaminate in aperta violazione della normativa europea in materia di Antitrust.

L’art. 102 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (T.F.U.E.) proibisce infatti espressamente “lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato interno o su una parte sostanziale di questo (…) nella misura in cui possa essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri” ed elenca in via esemplificativa una serie di pratiche da considerarsi “abusive”, quali, ad esempio “l’imposizione di condizioni di transazione non eque” da parte dell’impresa in posizione dominante.

Tale norma non vieta la mera detenzione di una posizione dominante o l’acquisizione di tale posizione da parte di un’impresa: detenere una posizione dominante non è di per sé illegale ai sensi delle norme antitrust dell’UE. Tuttavia, sulle imprese che detengono una posizione dominante grava la particolare responsabilità di non abusare di tale potere limitando la concorrenza nel mercato […]  per cui la condotta di tali imprese sul mercato non deve ostacolare lo spiegarsi del libero gioco di concorrenza (CGUE, C-322/81, sent. del 9 novembre 1983, in curia.europa.eu).

Nel caso esaminato, è indubbio che Google detenga posizione dominante nel mercato dell’intermediazione pubblicitaria nei motori di ricerca all’interno dello Spazio economico europeo dal 2006. Secondo la Commissione, le quote di mercato detenute da Google in tale periodo sono state infatti superiori all’85%. Ciò, in quanto, tale mercato è caratterizzato da notevoli ostacoli all’accesso, tra cui gli ingenti investimenti necessari per sviluppare e mantenere le tecnologie necessarie in tale settore ed un portafoglio sufficientemente ampio sia di publisher che di inserzionisti.

Secondo la Commissione, con l’imposizione ai siti publisher di clausole contrattuali restrittive del tenore esaminato, Google, limitando artificiosamente la possibilità per i siti web di terzi di mostrare annunci pubblicitari collegati alle ricerche dei propri concorrenti, ha ostacolato la concorrenza e ristretto notevolmente la capacità dei concorrenti di inserire pubblicità sui siti internet di terzi, di offrire servizi di intermediazione pubblicitaria alternativi a quelli di Google. Di conseguenze, i siti publisher sono stati costretti ad affidarsi quasi esclusivamente a Google. Tali pratiche abusive hanno dunque soffocato la scelta del consumatore e l’innovazione.

Le sanzioni inflitte dalla Commissione

La Commissione ha, in definitiva, ritenuto abusiva la condotta posta in essere del motore di ricerca di Mountain View ed ha imposto all’azienda di astenersi da qualsiasi misura avente oggetto o effetto equivalente, oltre ad un’ammenda di 1,4 mld di Euro, pari ad oltre l’1 per cento del fatturato aziendale del 2018.

Ciò in considerazione della gravità e del perdurare dell’infrazione.

Si tratta della terza sanzione negli ultimi due anni imposta a Google per pratiche abusive di vario genere della propria posizione dominante.

Sul punto, la Commissaria Vestager ha osservato che “Google ha creato tanti di quei prodotti innovativi che ci hanno cambiato la vita, ma non può arrogarsi il diritto di negare a altre imprese la possibilità di competere e di innovare.”

Chissà se il gigante del web, nonostante la sua indubbia posizione di dominio sul mercato, inizierà a prestare maggior attenzione alla normativa europea in materia di libera concorrenza