Con sentenza n. 51754, depositata il 15 novembre 2018, la Cassazione penale, sez. V, si è pronunciata in merito alla distinzione tra la condotta integrante l’illecito civilistico della concorrenza sleale ex art. art. 2598 c.c., n. 1 e la condotta integrante l’illecito penale di cui all’art. 473 c.p.
In particolare, il Giudice di legittimità ha statuito che l’illecito civilistico richiede come condizione necessaria e sufficiente quella che si usino nomi o segni distintivi idonei a creare confusione con quelli usati da altri, o che si imitino servilmente i prodotti altrui. Invece, affinché si configuri un reato, l’art. 473 del codice penale richiede, più specificamente, che gli altrui marchi o segni distintivi siano fatti oggetto di materiale contraffazione o alterazione.
Secondo la Corte, difettando queste ultime, la sola possibilità di confusione non può, di per se, valere a costituire il reato. Tuttavia, per non rendere del tutto vana la tutela penale, il principio sopra enunciato va interpretato nel senso del permanere della:
«rilevanza penale del fatto, ai sensi dell’art. 473 c.p., quando il diverso marchio registrato sia identico a quello noto e, all’uso di esso sul prodotto, si accompagni la replica di tutti gli altri segni distintivi, così da travalicare il concetto di “confusione” per arrivare ad una vera e propria “copiatura”.
Così statuendo, il Giudice di legittimità è intervenuto in una vicenda da molti catalogata come di “legal fake”.
Il caso vedeva contrapposte da un lato una società statunitense- titolare di un marchio registrato nell’Unione Europea- e, dall’altro una società italiana- titolare dell’omonimo marchio registrato nella Repubblica di San Marino- laddove non era stato registrato dalla società statunitense. I due marchi potevano inizialmente convivere in quanto il marchio era stato depositato a San Marino quando non vi era conflitto tra un marchio comunitario ed un marchio sammarinese come invece sarebbe oggi.
A seguito di questa registrazione, all’epoca lecita, la società statunitense si era trovata sul mercato prodotti recanti il proprio marchio ma che tecnicamente non erano in contraffazione. Per questo aveva ipotizzato una situazione di concorrenza sleale.
La Cassazione ha stabilito che può costituire una situazione che travalicava la concorrenza e configurava una “copiatura”. Quindi ha annullato la sentenza con rinvio al Tribunale del riesame per insufficiente motivazione. Infatti il sequestro potrebbe essere legittimo solo ove opportunamente motivato, facendo emergere la rilevanza penale dell’imitazione posta in essere.