Con ordinanza del 17 agosto 2020 il Tribunale di Milano si è pronunciato in merito all’utilizzo di un marchio, da parte di soggetto diverso dal titolare, come keyword advertising.
Sul tema era già intervenuta la Corte di Giustizia dell’Unione Europea nel leading case “Interflora” stabilendo che «qualora l’annuncio del terzo adombri l’esistenza di un collegamento economico tra tale terzo e il titolare del marchio, si dovrà concludere che sussiste una violazione della funzione di indicazione d’origine di detto marchio».
In sostanza la Corte affermava che la violazione del diritto di marchio sussisteva quando l’uso concreto del marchio altrui non consentiva o avrebbe consentito soltanto difficilmente all’utente internet normalmente informato e attento di riconoscere se i prodotti o i servizi a cui l’annuncio si riferiva provenissero o meno dal titolare del marchio.
Nel caso esaminato dal Tribunale di Milano una società titolare di un marchio europeo lamentava la violazione del proprio diritto di esclusiva in quanto il proprio marchio appariva nei risultati di un noto motore di ricerca nel quadro di inserzioni che rinviavano al sito web di una società concorrente.
In linea con la statuizione europea, il Giudice ha ricordato che:
«il titolare di un marchio ha il diritto di vietare ad un concorrente di far uso di detto segno distintivo quale parola chiave all’interno di un motore di ricerca qualora l’uso dello stesso possa compromettere una delle funzioni del marchio, quindi quando pregiudichi o possa pregiudicare la sua funzione essenziale di garantire ai consumatori la provenienza del prodotto»
Nell’ordinanza si legge che «l’uso del marchio della ricorrente come keyword advertising o link sponsorizzato è volto a sfruttare la rinomanza e la notorietà del marchio altrui per accreditare i propri prodotti», per cui ha accolto la domanda della società ricorrente, evidenziando che il marchio era stato utilizzato in modo tale da far supporre ai consumatori l’esistenza di un legame commerciale tra le due società e quindi in pieno contrasto con i principi di lealtà e correttezza.
La ricorrente lamentava poi la violazione dei diritti di utilizzazione economica nonché la concorrenza sleale ex art. 2598 c.c., stante l’uso non autorizzato e abusivo, da parte della resistente, di talune sue fotografie.
Il Tribunale ha accolto il ricorso anche sotto un tale profilo.
In particolare, il giudice ha rilevato che l’abusiva riproduzione delle fotografie utilizzate dalla ricorrente nella propria comunicazione aziendale costituiva, oltre ad una piena violazione delle regole di correttezza professionale, un indebito vantaggio competitivo per la società resistente che, sfruttando il lavoro di altri, risparmiava sia in termini di tempo che di costi sulla predisposizione del proprio materiale pubblicitario.