Il 21.05.2013 la Corte britannica ha riconosciuto le ragioni di Interflora contro Marks & Spencer nella causa relativa all’uso del marchio come keyword nel servizio AdWords di Google.
La Corte di Giustizia europea si era già espressa nel 2011 nel caso in oggetto stabilendo che l’uso di un marchio come parola chiave all’interno di un motore di ricerca può costituire atto di contraffazione marchio se sussistono determinate condizioni.
In particolare la Corte aveva affermato che sussiste una violazione della «funzione di indicazione d’origine del marchio allorché la pubblicità che compare a partire dalla suddetta parola chiave non consente o consente solo difficilmente all’utente di Internet normalmente informato e ragionevolmente attento di sapere se i prodotti o i servizi menzionati nell’annuncio provengano dal titolare del marchio o da un’impresa economicamente collegata a quest’ultimo oppure, al contrario, da un terzo».
Pertanto se quella determinata parola chiave richiama un sito che offre servizi simili il consumatore potrebbe essere tratto in inganno. Anche se gli utenti di Internet sono sempre più esperti e capaci di riconoscere un link sponsorizzato da un risultato naturale di una ricerca, secondo la Corte era assai difficile che un consumatore medio potesse comprendere se Marks & Spencer inviava fiori tramite Interflora o, com’è, tramite una propria catena di distribuzione.
D’altro lato la Corte aveva all’epoca anche affermato un altro principio importante, ovvero che «il titolare di un marchio che gode di notorietà non può vietare, in particolare, annunci pubblicitari fatti comparire dai suoi concorrenti a partire da parole chiave che corrispondono a detto marchio e propongono, senza offrire una semplice imitazione dei prodotti e dei servizi del titolare di tale marchio, senza provocare una diluizione o una corrosione e senza peraltro arrecare pregiudizio alle funzioni di detto marchio che gode di notorietà, un’alternativa rispetto ai prodotti o ai servizi del titolare di detto marchio.»
Per questo alcuni commentatori si sono mostrati sorpresi del fatto che Marks & Spencer non si sia difesa sostenendo che l’uso della parola chiave costituiva pubblicità comparativa prevista dall’art. 4 della Direttiva 2006/114/EC e ritenuta lecita in precedenti casi.