L’imbustamento non giustifica il “made in Italy”

Con sentenza del 14.10.2014 n. 42874 la Corte di Cassazione, sezione penale, ha confermato essere reato l’indicazione del “made in Italy” su prodotti che non sono originari del nostro paese.

Nel caso di specie si trattava di confezioni di funghi secchi porcini che recavano la dicitura “prodotto italiano” e riproducevano, a margine della confezione, la bandiera italiana, senza tuttavia indicare la provenienza della materia prima imbustata in territorio nazionale. Dall’esame tecnico effettuato nel corso del procedimento era emerso che i funghi provenivano da paesi extracomunitari e che non vi era stata alcuna trasformazione sostanziale in territorio italiano. In particolare la Corte ha stabilito che non può ritenersi un’attività di trasformazione la semplice attività di imbustamento della materia prima proveniente da altri paesi.

La Corte ha quindi stabilito che il comma 49-bis dell’art. 4 della legge n. 350 del 2003 « va interpretato nel senso che attualmente costituiscono infrazioni penalmente irrilevanti (e integranti solo un illecito amministrativo) non le indicazioni false, ma esclusivamente le «indicazioni fallaci» da cui possano derivare situazioni di incertezza indotte dalla carenza di «indicazioni precise ed evidenti sull’origine o provenienza estera o comunque sufficienti ad evitare qualsiasi fraintendimento del consumatore sull’effettiva origine dei prodotto»

Nel caso di specie il fatto che sul prodotto fosse apposta la bandiera italiana e la dicitura “prodotto italiano”, mentre i funghi in realtà provenivano dall’estero, è stato considerato una «falsa» e non semplicemente «fallace» indicazione della provenienza integrante un’ipotesi di reato ai sensi dell’art. 515 c.p..