Il T.A.R. Lazio, nella Sentenza 18 dicembre 2019 – 10 gennaio 2020, n. 26, afferma un interessante principio, ovvero che i dati personali possono essere un “bene” oggetto di sfruttamento economico ed essere una possibile controprestazione in un contratto.
Vediamo come si è giunti a tale affermazione.
L’AGCM (Autorità Garante per la concorrenza e il mercato) nel dicembre 2018 aveva sanzionato F. Inc. ritendendo che quest’ultima avesse violato gli artt. 20- 21-22-24 e 25 del D.lgs. n. 206 del 6 settembre 2005 c.d. “Codice del Consumo”.
L’Autorità sosteneva che la piattaforma avesse realizzato due distinte pratiche commerciali scorrette aventi ad oggetto la raccolta, lo scambio con terzi e l’utilizzo, ai fini commerciali, dei dati dei propri utenti consumatori, incluse le informazioni sui loro interessi online.
La prima pratica era ritenuta “ingannevole” e consisteva nell’avere adottato, nella fase di prima registrazione dell’utente, «un’informativa priva di immediatezza, chiarezza, completezza, in riferimento all’attività di raccolta e utilizzo, ai fini commerciali, dei dati degli utenti».
La seconda pratica, qualificata invece come “aggressiva”, si concretizzava nell’applicazione di un meccanismo che, secondo la ricostruzione dell’Autorità, comportava la trasmissione dei dati degli utenti della Piattaforma del social network ai siti “web/app” di terzi e viceversa, senza preventivo consenso espresso dell’interessato, per l’uso degli stessi ai fini di profilazione commerciali.
Contro il provvedimento emesso dall’Autorità, la società F. Inc. avanzava ricorso al T.A.R. del Lazio, che si è espresso, con la sentenza in esame, dichiarando l’illegittimità della prima pratica, mentre ha ritenuto la seconda priva di fondamento.
La prima pratica aveva ad oggetto il claim “iscriviti è gratis e lo sarà per sempre”. L’Autorità aveva ritenuto che tale frase non trova un altrettanto evidente e chiaro richiamo sulla raccolta dei dati personali degli utenti e del loro uso per fini commerciali. Il Giudice amministrativo, dunque, ha dato ragione all’Autorità riconoscendo che il claim pubblicato «non era veritiero e forviante in quanto la raccolta l’utilizzo dei dati degli utenti ai fini remunerativi si configurava come controprestazione del servizio offerto dal social network».
F. Inc., al fine di non incorrere in una pratica ingannevole, avrebbe dovuto comunicare all’utente/consumatore che le informazioni ricavabili dai dati (ad esempio le preferenze) sarebbero state utilizzate per finalità commerciali che vanno oltre l’utilizzazione del social network.
Ciò che più risulta interessante e che porta al chiaro riconoscimento del valore economico dei dati personali, è la motivazione sostenuta dal T.A.R. in relazione all’eccezione di incompetenza sollevata da F. Inc. Quest’ultima nella sua difesa aveva ritenuto che la competenza spettasse all’Autorità garante per la privacy, poiché «non sussisterebbe alcun corrispettivo patrimoniale e, quindi, un interesse economico dei consumatori da tutelare».
Secondo l’opinione del Giudice amministrativo tale approccio, basato esclusivamente sulla concezione della tutela del dato personale nella sua accezione di diritto fondamentale dell’individuo, «sconta una visione parziale della potenzialità insite nello sfruttamento dei dati personali, che possono altresì costituire un “asset” disponibile in senso negoziale, suscettibile di sfruttamento economico e, quindi, idoneo ad assurgere alla funzione di “controprestazione” in senso tecnico di un contratto».
Il T.A.R., alla luce di ciò, sostiene che vi sia un altro campo di protezione per il dato personale, oltre a quelli già riconosciuti e disciplinati dal Regolamento UE 2016/679, che vede il dato personale quale possibile oggetto di una compravendita tra gli operatori del mercato o tra questi e i soggetti interessati. Per tale ragione, il consumatore /utente, deve essere informato dello scambio di prestazioni che è alla base della registrazione del social network, come previsto dagli obblighi di informazione disciplinati dalla legislazione in materia di tutela del consumatore.
Secondo quanto affermato dal Giudice amministrativo, la “patrimonializzazione” del dato personale «impone agli operatori di rispettare, nelle relative transazioni commerciali, quegli obblighi di chiarezza, completezza e non ingannevolezza delle informazioni previsti dalla legislazione a protezione del consumatore, che deve essere reso edotto dello scambio di prestazioni che è sotteso alla adesione ad un contratto per la fruizione di un servizio, quale è quello di utilizzo di un “social network”».