Con la recente sentenza del 21 Settembre 2020, il Tribunale di Roma ha chiarito il confine tra critica legittima e diffamazione in caso di recensioni poco lusinghiere pubblicate on line dagli utenti.
Il caso riguardava la pubblicazione sulla piattaforma Google My Business di numerose recensioni negative pubblicate dai pazienti di una struttura sanitaria. La struttura aveva richiesto l’immediata cancellazione delle recensioni denigratorie ma Google ne aveva rimosse soltanto alcune, mantenendo quelle che giudicava essere una legittima espressione del diritto di critica. Alcune delle recensioni non rimosse dal gestore del servizio erano del seguente tenore: “Scandalosi”, “Medici da evitare e gestito da incapaci”, “(…) un loro medico che molesta le pazienti (…) affermano di denunciare tutti coloro che scrivono la verità è a dir poco IMBARAZZANTE”.
A fronte della mancata rimozione dei contenuti da parte di Google, la struttura si rivolgeva al Tribunale in via d’urgenza, chiedendo che venisse ordinata la cancellazione delle recensioni ritenute diffamatorie.
Il Tribunale, dopo aver ricostruito il regime della responsabilità dei provider di servizi on line alla luce del D.Lgs 70/2003, ha confermato l’assenza di un obbligo di controllo preventivo dei contenuti pubblicati dagli utenti. Tale controllo infatti, sarebbe impossibile vista l’enorme quantità di dati immessi dagli utenti e si tradurrebbe in un’indebita forma di responsabilità oggettiva a carico del gestore del servizio.
Tuttavia, a seguito di una segnalazione relativa al potenziale contenuto illecito del materiale pubblicato, il gestore del servizio ha il dovere di attivarsi immediatamente e di effettuare una valutazione sui contenuti denunciati. Tale valutazione è rimessa al provider e deve essere condotta in base ai parametri previsti nelle condizioni di utilizzo della piattaforma online. L’obbligo di rimozione, quindi, sorge soltanto se all’esito del controllo viene riscontrata una manifesta ed evidente illiceità dei contenuti. In caso contrario, il provider sarà tenuto alla cancellazione soltanto in forza di un provvedimento giudiziale.
Qualora l’utente richieda l’intervento del Giudice, per accertare l’illiceità del contenuto si dovrà effettuare un giudizio di bilanciamento tra il diritto alla reputazione, anche commerciale, e il contrapposto diritto di critica, fondato sulla libertà di manifestazione del pensiero.
Ebbene, con la sentenza in esame il Tribunale di Roma ha chiarito che il diritto di critica ricomprende la possibilità di una legittima espressione di aperto dissenso o disfavore. Pertanto, ai fini del bilanciamento, l’elemento discriminante deve essere individuato nell’aderenza della critica, seppur polemica, a un fatto reale, dovendosi ritenere la stessa una sollecitazione al ripristino di un comportamento considerato corretto. In tale caso, il diritto di critica prevarrà sul diritto alla reputazione a condizione che non si traduca in gratuite invettive o nella rappresentazione di circostanze false e purché i toni utilizzati siano pertinenti al tema in discussione e non infamanti.
Sulla base di queste premesse, il Tribunale ha considerato legittima espressione del diritto di critica i commenti come “Scandalosi” e “Medici da evitare e gestito da incapaci”: per quanto pungenti, questi non sarebbero post volgari o gratuitamente insultanti, ma recensioni rappresentative di una sensibilità individuale, riferita alla percezione dei comportamenti tenuti dal personale della struttura e della relativa efficienza.
Al contrario, è stata ordinata a Google la rimozione del post “(…) un loro medico che molesta le pazienti (…) affermano di denunciare tutti coloro che scrivono la verità è a dir poco IMBARAZZANTE”. Questo commento infatti, non è un semplice giudizio negativo ma contiene la formulazione di una precisa accusa, estremamente grave sia sul piano etico e giuridico. Poiché la verità di tale fatto era stata fermamente negata dalla struttura sanitaria e non vi era la possibilità di dimostrare il fondamento delle accuse, il Tribunale ha ritenuto che la recensione fosse censurabile perché gravemente pregiudizievole per l’immagine della struttura.