Con la recente Ordinanza del 19/10/2020, il Tribunale delle Imprese di Milano ha riconosciuto ad Amazon la qualità di hosting provider attivo, condannando in via cautelare il gestore della piattaforma a cessare immediatamente la promozione e la vendita di alcuni prodotti di lusso.
Il caso riguardava la presenza sul noto marketplace di alcuni prodotti cosmetici e di profumeria recanti diversi marchi celebri, commercializzati dalle case madri con puntuali accordi con i distributori autorizzati volti a mantenere un’immagine di lusso associata ai marchi.
Gli accordi di distribuzione selettiva hanno come effetto la limitazione della concorrenza sul mercato e sono considerati leciti soltanto se hanno ad oggetto specifiche categorie di prodotti, come quelli di lusso. In questi casi, la compressione della libera concorrenza è giustificata dall’esigenza di salvaguardare il prestigio del marchio e viene attuata mediante l’imposizione di determinati standard qualitativi e professionali ai rivenditori.
Nel caso esaminato dal Tribunale di Milano, le case madri consentivano la distribuzione on line dei prodotti soltanto tramite i siti web dei rivenditori autorizzati – sottoposti a un rigoroso esame anche sotto il profilo grafico – e solo a condizione che fosse predisposto uno spazio virtuale riservato esclusivamente a tali marchi, con esclusione di ogni riferimento pubblicitario a prodotti diversi e con il divieto di associare i marchi ad altri prodotti o servizi non collegati alla profumeria o cosmesi.
La promozione di quei prodotti sulla piattaforma Amazon è stata quindi ritenuta lesiva della notorietà e dell’immagine dei marchi perché su tale piattaforma (priva dei requisiti di qualità richiesti e non autorizzata dalle case madri) i prodotti venivano accostati a prodotti appartenenti a categorie di scarso livello qualitativo come cibo per gatti, carta igienica o insetticidi.
Amazon si è difeso invocando il regime privilegiato di responsabilità previsto dal D. Lgs. 70/2003 per gli hosting provider passivi, affermando di aver tenuto una condotta meramente agevolativa dei rapporti tra acquirenti e venditori, senza aver partecipato attivamente al rapporto e senza alcun intervento sui contenuti pubblicati.
Infatti secondo quanto previsto dalla vigente normativa sul commercio elettronico, la responsabilità del provider passivo sorge solo se quest’ultimo ha avuto effettiva conoscenza dell’illiceità del contenuto pubblicato o dell’attività svolta da terzi oppure se, venuto a conoscenza di tale illiceità, non si sia attivato immediatamente su ordine dell’autorità giudiziaria oppure non ne abbia dato informazione all’autorità stessa.
Il Tribunale di Milano, invece, esaminata l’attività effettivamente svolta dalla piattaforma, ha ritenuto che la condotta di Amazon non fosse di semplice memorizzazione o trasporto dati, in quanto in relazione a tali prodotti Amazon curava, tra l’altro, la gestione dello stoccaggio e la spedizione dei prodotti, controllava i dati inseriti dai rivenditori terzi, metteva a disposizione degli acquirenti un servizio clienti e svolgeva specifiche attività promozionali.
Ad Amazon è stata quindi inibita con effetto immediato l’attività promozionale e di vendita dei prodotti di lusso contestati.