Ancora una pronuncia (ordinanza n. 15708 del 14 giugno 2018 della Corte di Cassazione) in materia di diritti di brevetto che derivano da un contratto di prestazione d’opera ed in particolare sulla qualificazione di quest’ultimo alla luce dell’art. 64 del Codice della Proprietà Industriale (C.P.I.).
In passato (v. nostro articolo del 27 agosto 2014) avevamo già affrontato la problematica relativa alla difficile interpretazione ed applicazione dell’art. 64 C.P.I.. L’ordinanza in esame è quindi interessante perché rappresenta un esempio di qualificazione giuridica dei contratti data anche alla luce della suddetta disposizione normativa.
In particolare, il caso esaminato dalla Corte di Cassazione riguardava un contratto stipulato tra un inventore (nonché dalla sua società, costituita per lo sfruttamento dell’invenzione) ed un’altra società.
Con tale contratto quest’ultima affidava al primo “lo svolgimento di prestazioni aventi ad oggetto lo studio e la progettazione di nuovi sistemi di riscaldamento (…) al fine di acquisire il diritto allo sfruttamento dei risultati di dette attività di studio e progettazione ed eventualmente, ove brevettabili, la contitolarità dei relativi brevetti”.
Nel provvedimento in esame, la Corte di Cassazione ha qualificato il suddetto contratto come un contratto sinallagmatico caratterizzato dallo scambio facio ut des. In particolare come un contratto di prestazione d’opera intellettuale, oppure come contratto di appalto di servizi, a seconda della natura del soggetto ricercatore. Inoltre, i giudici di legittimità hanno ricondotto tale tipologia di contratto alla disciplina dell’art 64, comma 1, C.P.I. sulle cd. invenzioni di servizio. In particolare, la Corte di Cassazione ha sottolineato che nel contratto in questione le parti hanno esplicitamente richiamato l’art. 64 C.P.I. “il cui ambito di applicazione non è limitato ai rapporti di lavoro ed alle invenzioni dei dipendenti, ma riguarda tutte le tipologie contrattuali che abbiano ad oggetto un’invenzione industriale”.
Alla luce di quanto affermato dalla Cassazione, si potrebbe quindi dedurre che anche nel caso in cui l’invenzione industriale sia realizzata nell’ambito di un contratto di prestazione d’opera intellettuale, i diritti derivanti dall’invenzione spettano al datore di lavoro.