Il format di una trasmissione si tutela ma solo se…

Il Tribunale di Roma torna ad affrontare il tema delle condizioni e dei limiti di protezione che possono essere conferiti ad una trasmissione televisiva.

 

Il tema è molto dibattuto e crea spesso incertezza a causa della mancanza di una norma positiva che regolamenti la questione.

 

Occorre premettere che la giurisprudenza tendenzialmente riconosce al format una protezione ai sensi della legge sul diritto d’autore ma solo se sussistono determinati presupposti.

 

In primo luogo il format, che potremmo definire come la struttura-base di un programma televisivo, è tutelabile solo se presenta sufficienti elementi di originalità e di creatività.

In secondo luogo l’oggetto della tutela non è mai la scelta dell’avvenimento o del tema della trasmissione in sé, ma soltanto l’elaborazione di uno specifico tema compiuta dall’autore attraverso la definizione di elementi che possano caratterizzare in modo preciso il programma.

 

In sostanza non si tutela l’idea di realizzare un certo programma ma soltanto un programma che abbia una precisa struttura ed un preciso susseguirsi di fasi e di eventi.

 

Nel caso di specie un soggetto sosteneva di essere autore di una trasmissione andata in onda sui canali RAI e di cui era stato anche protagonista.

A fondamento del suo diritto depositava in causa il format che aveva depositato presso la SIAE in cui si era limitato ad individuare il tema della trasmissione, tra l’altro ritenuto non particolarmente originale, senza specificare in modo dettagliato la struttura ed il canovaccio.

 

Il Tribunale di Roma ha ribadito che «in assenza di una definizione normativa del concetto di format, cioè della c.d. idea base di programma televisivo come modello da ripetere anche da altre emittenti o in altre occasioni, non può che farsi riferimento a quanto risulta dal bollettino della SIAE n. 66 del 1994 secondo cui l’opera, ai fini della prescritta tutela, deve presentare, come elementi qualificanti, delle articolazioni sequenziali e tematiche costituite da un titolo, un canovaccio o struttura narrativa di base, un apparato scenico e personaggi fissi, così realizzando una struttura esplicativa ripetibile del programma».

 

Nel caso di specie il testo dell’opera depositata alla SIAE risultava eccessivamente sommario tanto da essere stato definito addirittura ad uno stato “larvale” per cui già per questo una protezione non sarebbe stata astrattamente possibile.

 

Inoltre l’attore che adesso richiedeva un compenso era stato protagonista della trasmissione per alcuni anni senza avere mai preteso niente in precedenza e senza avere fornito prova alcuna in ordine al fatto che ci sarebbe stato un accordo sul corrispettivo.

 

Il Tribunale ha a questo punto confermato un altro importante principio, ovvero che «la determinazione del compenso non costituisce elemento essenziale del contratto d’opera professionale prospettato dall’attore, non essendovi in effetti alcuna presunzione di onerosità, nemmeno juris tantum, e non potendosi escludere che nel caso di specie la gratuità delle prestazioni fosse giustificata dal fatto che X (…) poteva certamente trarre notevoli benefici in termini di visibilità e di ritorno pubblicitario anche della sua immagine professionale».

 

Sulla base di tutte le considerazioni di cui sopra il Tribunale di Roma ha quindi respinto la richiesta avanzata e condannato l’attore a pagare le spese di lite (sent. 19116/17).