L’Avvocato Generale della Corte di Giustizia, Maciej Szpunar, è stato chiamato a stabilire se sia lecito integrare in una pagina web, tramite link, un’opera protetta dal diritto d’autore che, con l’autorizzazione del titolare dei diritti, sia già stata messa liberamente a disposizione del pubblico su un altro sito Internet.
Nelle conclusioni dello scorso 10 settembre, l’Avvocato Generale fa dipendere la risposta dalle modalità mediante le quali avviene in concreto la ripubblicazione del contenuto tutelato.
Così afferma che è legittimo, anche senza il consenso del titolare dei diritti, l’inserimento dell’opera tutelata attraverso semplici collegamenti ipertestuali cliccabili dall’utente tramite framing (“che consiste nel dividere la schermata in più parti, ognuna delle quali può presentare il contenuto di un altro sito Internet”). In tale ipotesi l’autorizzazione si ritiene ricompresa in quella rilasciata dal titolare al momento della prima messa a disposizione dell’opera.
Diversamente, in caso di embedding dell’opera mediante collegamenti automatici (c.d. inline linking o hotlinking), è necessaria una nuova autorizzazione da parte del titolare dei diritti sull’opera. Difatti, la visualizzazione automatica su una pagina internet senza “alcuna azione supplementare dell’utente” integrerebbe – secondo Szpunar – atto di comunicazione al pubblico ai sensi dell’art. 3.1 della Direttiva InfoSoc (2001/29/CE).
Nelle premesse l’AG ha colto l’occasione per evidenziare l’importanza dell’hyperlinking nella sua primordiale funzione di tessere la rete di internet (c.d. webbing the Web). Il collegamento ipertestuale, consentendo l’accesso a risorse da un sito all’altro senza soluzione di continuità, costituisce, infatti, l’essenza stessa di Internet. I contenuti online sono visualizzati, spesso, tramite link che ne consentono l’accesso in modo più o meno consapevole rispetto alla loro provenienza. Pertanto, non sempre gli internauti hanno la concreta percezione di quale sia l’origine dei diversi elementi che compongono le pagine web che stanno navigando.
A conferma di ciò, si vedano le varie tipologie di collegamenti che animano la multiforme realtà di internet:
- il link semplice conduce alla pagina iniziale del sito cui rinvia;
- il deep link, invece, istruisce l’utente verso una risorsa specifica inserita in una pagina del sito cliccato, senza transitare per la sua homepage.
Tuttavia, in entrambi i casi, l’integrazione – nel link da cliccare – dell’url del sito cui si rinvia, fa presupporre che l’utente sia consapevole che la risorsa che andrà a visualizzare appartiene ad un sito terzo rispetto a quello di navigazione originaria.
Diversa, invece, dal punto di vista sia funzionale che giuridico è la tecnica dell’embedding – o, per usare gli stessi termini dell’AG, inline linking o hotlinking – mediante la quale il contenuto esterno “entra” nella pagina internet attraverso specifiche istruzioni in codice html così da essere visualizzato automaticamente, non appena aperta la pagina consultata, senza link da cliccare e, quindi, senza cognizione da parte dell’utente della sua effettiva provenienza. Il risultato finale per chi naviga è il medesimo che si avrebbe nel caso in cui la risorsa fosse già inserita nella pagina visualizzata e non invece aggiunta ab extra in un momento successivo.
Ebbene, al riguardo l’AG ha precisato – come detto – che, rivolgendosi l’opera ad un pubblico “nuovo”, diverso da quello preso in considerazione al momento della sua prima messa a disposizione, l’embedding dell’opera costituisce comunicazione al pubblico e, pertanto, laddove non espressamente autorizzato, viola il diritto d’autore del titolare dei diritti sull’opera.