Il blocco di siti web e il diritto alla libertà di espressione

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo con la sentenza del 23 giugno scorso ha dichiarato illegittimi alcuni provvedimenti dell’Autorità di regolamentazione delle telecomunicazioni russa “Roskomnadzor” (letteralmente,  “Servizio federale per la supervisione nella sfera della connessione e comunicazione di massa”) che avevano imposto il blocco di diversi siti web, poiché ritenuti in violazione dell’articolo 10 (libertà di espressione) e dell’articolo 13 (diritto a un rimedio effettivo) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Il caso ha avuto inizio a seguito di quattro ricorsi presentanti da alcuni soggetti titolari di siti web dinanzi alla Corte dei diritti dell’uomo, ai sensi dell’art. 34 della Convenzione, contro la Russia.

I ricorrenti, tra il 2013 e il 2015, si rivolgevano alla Corta di Strasburgo lamentando la violazione dell’art. 10 (libertà di espressione) e, da solo o in combinato disposto, dell’art. 13 (diritto al rimedio effettivo) della Convenzione. In particolare, questi sostenevano che il blocco subito fosse stato illegale e sproporzionato e che, inoltre, i tribunali russi non avevano preso in considerazione il merito delle loro denunce.

La Corte EDU ha dichiarato all’unanimità la violazione dell’art. 10 in rapporto a tutti e quattro i casi. A tal riguardo, la stessa ha affermato che le interferenze poste in atto dall’Autorità sarebbero state lecite, laddove previste da una legge dal contenuto chiaro e prevedibile e che stabilisse i limiti sulla discrezionalità concessa all’Autorità e prevedesse forme di protezione da interferenze illecite, ovvero alle condizioni previste dal medesimo articolo. I Giudici nella sentenza del 23 giugno scorso hanno, inoltre, sottolineato l’importanza di Internet quale mezzo per la libertà di espressione e di informazione e, per tale ragione, i blocchi ai siti web non potevano che risultare atti ad interferire con il diritto dei ricorrenti di comunicare informazioni e con il diritto degli utenti a riceverle.

I blocchi effettuati dall’Autorità, inoltre, sono stati ritenuti dalla Corte del tutto sproporzionati.

In particolare, i casi esaminati avevano ad oggetto diversi tipi di misure di blocco: quello “collaterale”, ossia era stato bloccato l’indirizzo IP condiviso da diversi siti, incluso quello di destinazione;  il blocco “eccessivo”, in cui l’intero sito web era stato bloccato a causa di una singola pagina o file ed, infine, il blocco “all’ingrosso” , ovvero erano stati bloccati tre siti di media on-line per la loro copertura di alcune notizie.

Le misure di blocco contro i siti Web dei ricorrenti non avevano giustificazioni e non perseguivano alcun legittimo obiettivo.

In merito alla violazione dell’art. 13, in combinato disposto con l’art. 10, la Corte EDU ha ritenuto che nessun Tribunale, nei casi sollevati dai ricorrenti, aveva effettuato l’esame del merito di quelle che erano discutibili denunce di violazioni dei loro diritti. E pertanto ha dichiarato sussistente anche la violazione dell’art. 13 della Convenzione.

Per le ragioni dedotte nella sentenza, a seguito della richiesta di equa soddisfazione ex art. 41 della Convenzione, la Corte europea dei diritti dell’uomo, ha quindi condannato la Russia a corrispondere la somma di Euro 10.000 ciascuno a titolo di risarcimento del danno morale, oltre che a rifondere le spese e i costi sostenuti dai ricorrenti.