Il “selfie”, secondo Wikipedia, è un “autoritratto realizzato attraverso una fotocamera digitale compatta, uno smartphone, un tablet o una webcam puntati verso sé stessi o verso uno specchio, e condiviso sui social network.” Facile a farsi, ancora più facile da condividere su Internet o sui social media. Tuttavia la semplicità del mezzo può creare complicazioni di non poco conto, sia che lo si faccia od utilizzi nel momento sbagliato sia che non lo si faccia affatto.
Alcuni casi affrontati dai Tribunali negli ultimi tempi insegnano proprio questo. Un primo caso riguarda un magazziniere alle dipendenze di una delle più grandi società di e-commerce. La società lo aveva licenziato perché aveva interrotto la propria attività lavorativa per scattare due selfie in due momenti distinti, utilizzando inoltre un prodotto destinato alla vendita. Il Tribunale di Milano, con la sentenza n. 2203 del 18 settembre 2018 ha ritenuto che la condotta posta in essere dal soggetto non fosse tale da configurare gli estremi di un licenziamento per giusta causa, ma ha riconosciuto la natura illecita del selfie in quanto scattato durante l’orario di lavoro e in violazione degli obblighi derivanti dal contratto di lavoro. Per questo il lavoratore non è stato reintegrato ma l’azienda ha dovuto corrispondergli un’indennità pari a quattro mensilità. Nei guai per un selfie si è ritrovato anche un signore di Genova che aveva l’abitudine di condividere su un gruppo WhatsApp selfie scattati in compagnia di una signora. Quegli scatti sono però finiti di fronte al Tribunale di Genova che si è ritrovato a valutarli ai fini della richiesta di addebito in sede di separazione, come prova documentale della responsabilità della rottura del rapporto coniugale.
Al contrario, un selfie sarebbe stato d’aiuto a una signora della Repubblica Domenicana che si è vista rifiutare il permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare, in quanto non vi erano prove della convivenza con il marito italiano. Nella Sentenza n. 860del 02 marzo 2016 si legge che non vi era prova della convivenza in quanto la donna non aveva prodotto “neppure un selfie della vita in comune e delle asserite domeniche trascorse insieme”. Anche se nel processo civile le prove sono tipiche, tra le prove documentali e fotografiche entrano a fare parte sempre più spesso prodotti dell’era digitale, dalle email, alle icone, ai selfie, appunto.
L’uso dei nuovi strumenti elettronici non è affatto neutro e tanto meno un “far west” in cui tutto è possibile. I nostri comportamenti online si ripercuotono inevitabilmente sul piano legale e possono avere conseguenze anche molto spiacevoli. Questo dovrebbe essere ormai un principio acquisito di cui tutti dovrebbero essere consapevoli, ma a volte sembra che non sia così. A dire il vero ciò che postiamo in Internet o in un social è ben più pericoloso di quello che possiamo scrivere su carta o dire verbalmente perché il mezzo usato rende permanente quello che è stato comunicato. Per quanto possiamo cancellarlo, da qualche parte in qualche memoria elettronica resta e potrebbe spuntare fuori nel momento meno opportuno.