Battuta d’arresto per gli “Champagne Orange” del gruppo LVMH
Il noto marchio di vini “Veuve Clicquot”, del gruppo LVMH, rinomata casa produttrice di champagne, è stato al centro di una complessa battaglia legale per difendere una caratteristica distintiva dei suoi prodotti: la tonalità arancione delle etichette delle sue bottiglie.
Questo caso ha messo in luce i rigidi standard probatori richiesti per l’accertamento del “secondary meaning”, ovvero l’acquisizione del carattere distintivo attraverso l’uso prolungato di segni originariamente non distintivi.
Marchio di colore: la “travagliata” registrazione de “l’Orange” di Veuve Clicquot
Un marchio, per essere registrabile, deve possedere un “carattere distintivo”, ovvero la capacità di distinguere i prodotti o servizi di un’impresa da quelli di altri attori economici. I segni privi di distintività intrinseca, come i colori o le forme semplici e descrittive, non possono di norma essere registrati come marchi. Tuttavia, le leggi europee e nazionali prevedono un’eccezione: anche questi segni possono essere tutelati qualora assolvano alla funzione di marchio, ovvero la sfumatura di colore (o la combinazione di colori) sia idonea a distinguere il prodotto o servizio fornito dall’impresa (pensiamo al blu Tiffany, al rosso Coca-Cola, al viola Milka, al rosa Barbie e al rosso Ferrari).
Solitamente, la capacità distintiva viene determinata da una massiccia utilizzazione del segno sul mercato, in modo che il pubblico di riferimento associ a quello specifico colore (o combinazione di colori) un determinato prodotto o servizio come proveniente da una specifica impresa c.d. “secondary meaning”.
Il 12 febbraio 1998, la Maison Veuve Clicquot presentava una domanda di registrazione di marchio figurativo presso l’Ufficio dell’Unione Europea per la proprietà intellettuale (EUIPO), rivendicando la protezione per una particolare tonalità di arancione, scegliendo di non fare riferimento al “Pantone’s Process Book”, ma corredando la domanda dalla definizione scientifica di quella tonalità. L’esaminatore aveva chiarito che il segno distintivo non fosse “in re ipsa” marchio di colore, ma un marchio figurativo a colori, e che, se la domanda di deposito marchio avesse riguardato un colore, invece della casella “marchio figurativo”, avrebbero dovuto selezionare la casella “altro”.
Con decisione 20 novembre 2002 (procedimento R 246/2000-2), la seconda commissione di ricorso ha precisato che il modulo domanda-tipo avrebbe dovuto essere interpretato come domanda di protezione di un marchio di colore, annullando la decisione dell’esaminatore e rimettendo la causa a quest’ultimo per verificare se il marchio avesse acquisito carattere distintivo in seguito all’uso. Ciò premesso, solamente con decisione del 26 aprile 2006 (procedimento R 148/2004-2), la domanda di marchio è stata pubblicata nel Bollettino ufficiale n. 37/2006 l’11 settembre 2006 e il marchio in questione è stato registrato il 23 marzo 2007 con il nr. 747949. L’Ufficio ha concesso la registrazione per la classe 33 “vini spumanti”, ritenendo che l’uso prolungato avesse fatto acquisire al colore la capacità di identificare lo champagne dell’azienda.
La sentenza del Tribunale dell’Unione Europea
Lidl, che utilizza un colore simile per commercializzare le proprie bottiglie di spumante nei diversi punti vendita, ha contestato questa registrazione con ricorso fondato sull’articolo 263 TFUE, chiedendo l’annullamento della decisione della quarta commissione di ricorso EUIPO del 16 agosto 2022, sostenendo che il colore arancione non avesse acquisito tale carattere distintivo nell’intera Unione Europea attraverso l’uso prolungato. L’argomentazione si basava sull’assenza di prove sufficienti che dimostrassero la percezione del colore come indicatore dell’origine commerciale da parte del pubblico in tutta l’Unione europea.
Il 6 marzo 2024, il Tribunale dell’Unione Europea ha, quindi, annullato la decisione dell’EUIPO (causa T‑652/22) che confermava la validità del marchio arancione di Veuve Clicquot. I giudici hanno respinto le eccezioni di Lidl riguardanti la “definizione scientifica” del colore, affermando che il campione digitale del colore soddisfacesse i requisiti di “rappresentazione grafica” previsti dalla legge per la registrazione di un marchio. Tuttavia, il Tribunale ha rilevato che le prove fornite da Veuve Clicquot, per dimostrare l’acquisizione del carattere distintivo in Grecia e Portogallo, erano insufficienti. Le informazioni su vendite, quote di mercato, pubblicità ed eventi promozionali non costituiscono prove “dirette” della percezione del pubblico in quei Paesi; sarebbero stati necessari sondaggi demoscopici, dichiarazioni di associazioni di categoria e altre evidenze oggettive per dimostrare la “distintività acquisita”.
La decisione ha rinviato la causa all’EUIPO affinché riesamini le prove sull’acquisizione del carattere distintivo nel periodo successivo alla registrazione del marchio.
Prospettive future e consigli per le imprese
La sentenza indica che l’azienda dovrà produrre prove sufficienti di una “distintività acquisita geograficamente estesa”. Questo caso serve da monito per le imprese che intendano tutelare segni non distintivi come colori o forme attraverso il “secondary meaning”. È essenziale condurre indagini specifiche e mirate a comprovare la percezione del segno come indicatore dell’origine commerciale presso i consumatori in diverse aree geografiche.
La battaglia legale di Veuve Clicquot per il colore arancione delle sue etichette di champagne evidenzia le sfide e le complessità nel dimostrare il “secondary meaning” per segni non distintivi. La sentenza del Tribunale dell’Unione Europea del 2024 stabilisce un precedente importante riguardo gli standard probatori necessari per tali casi.
Le imprese devono essere consapevoli della necessità di raccogliere prove robuste e specifiche per area geografica per tutelare efficacemente i loro marchi di colore e altri segni non distintivi.
Carlo Callea