La Corte d’Appello di Milano, sezione specializzata in materia di imprese, si è recentemente pronunciata in merito ad una controversia sorta tra due note società di moda, Diesel e Calvin Klein, ed avente ad oggetto l’etichetta “stripe”.
Gli antefatti
La società Diesel produce e commercializza da anni capi di abbigliamento casual, tra cui blue jeans. Tali prodotti sono caratterizzati dalla presenza di un’etichetta, denominata “stripe”, posizionata sulla quinta tasca antero-laterale del pantalone, che è costituita da una piccola striscia di tessuto rettangolare (solitamente non in denim, ma di un tessuto e un colore più chiaro), con i lati superiore e inferiore molto più lunghi rispetto all’altezza.
L’etichetta, posizionata a metà della parte visibile della quinta tasca, si estende per tutta la lunghezza della stessa in modo trasversale rispetto al bordo superiore.
Diesel affermava di utilizzare la stripe in maniera continuativa da svariati decenni, ovvero dall’inizio degli anni Ottanta, tanto da considerarla un elemento identificativo della stessa casa di moda. Per tale motivo depositava in Italia nel 2018 due domande di marchio d’impresa che ottenevano la registrazione l’anno successivo.
Nel frattempo, nel 2017, Diesel veniva a conoscenza del fatto che anche Calvin Klein utilizzava un’etichetta costituita da una striscia di tessuto simile per forma e posizionamento alla sua stripe (anche se non posta in obliquo rispetto alla tasca) e pertanto decideva di citarla in giudizio per contraffazione e concorrenza sleale. Calvin Klein, da parte sua, eccepiva la nullità del marchio per mancanza di capacità distintiva.
La sentenza di primo grado del Tribunale di Milano
Con sentenza n. 8845/2020 la sezione specializzata in materia di imprese del Tribunale di Milano stabiliva, da un lato, che i marchi della Diesel sono validi e tutelabili (in quanto dotati di capacità distintiva), e dall’altro, respingeva le domande di contraffazione e concorrenza sleale avanzate da parte attrice. Diesel, quindi, avanzava appello contro tale decisione, così come Calvin Klein, che reiterava la domanda di nullità dei segni Diesel.
La decisione della Corte d’Appello di Milano
La Corte d’Appello, con sentenza n. 1999 del 16 giugno 2023, confermava sostanzialmente quanto già deciso dal giudice di primo grado. Tuttavia decideva di esaminare preliminarmente la questione dell’appello incidentale avanzato da Calvin Klein, poiché l’eventuale nullità dei segni doveva essere considerata una questione prodromica rispetto all’esame delle domande avanzate da Diesel.
Calvin Klein, sul punto, affermava che i marchi di Diesel erano carenti di capacità distintiva (e quindi nulli), e che dovessero essere considerati semplicemente come un mero elemento ornamentale. Inoltre, dichiarava che la propria etichetta si distingueva da quella di Diesel perché posta in posizione orizzontale (e non obliqua) rispetto alla tasca.
La Corte d’Appello, tuttavia, concordando con quanto stabilito dal Tribunale di Milano, riteneva validi e tutelabili sia i segni di fatto che quelli registrati di titolarità di Diesel e stabiliva che il marchio “stripe” è dotato di capacità distintiva, a causa della particolare posizione della striscia di tessuto sulla tasca antero-laterale e della diagonalità di tale elemento, del tutto inusuale nel settore e quindi in grado di creare un collegamento con la società produttrice Diesel.
Confermata quindi la validità e tutelabilità dei marchi “stripe” di Diesel, la Corte si soffermava sulle domande avanzate in fase di appello da Diesel, confermando, anche in questo caso, quanto già deciso dal Tribunale di primo grado, e respingendo quindi le accuse di contraffazione e concorrenza sleale.
In termini generali, infatti, la confondibilità tra due marchi deve essere valutata tenendo in considerazione la percezione del consumatore medio ragionevolmente attento ed avveduto. L’etichetta di Calvin Klein non riproduce né l’elemento distintivo obliquo né altre caratteristiche proprie delle stripe di Diesel. Inoltre, la stripe di Calvin Klein è sempre accompagnata dal relativo marchio verbale “Calvin Klein”, contribuendo in questo modo a ridurre il rischio di confusione.
Infine, il Tribunale precisava che i capi di jeans in questione vengono venduti o in negozi dedicati, o in aree ben delimitate e segnalate di grandi magazzini e sempre alla presenza di personale addetto alla vendita, rendendo pressochè impossibile per il consumatore confondersi tra una marca e l’altra. Il fatto che si tratti, poi, di capi di abbigliamento di alto livello, per i quali il consumatore è solito porre un’attenzione maggiore a quella prestata al momento dell’acquisto di generi di livello inferiore, concorrono a confermare la mancata contraffazione e concorrenza sleale.
Tania Giampieri