Non sempre è illecito lo stoccaggio di beni con marchi contraffatti

La società hosting di e-commerce che stocca in magazzino merci di terzi che violano marchi altrui non è responsabile di tale illecito se non ne è a conoscenza.

Lo ha stabilito la Corte di Giustizia Europea con la sentenza del 02/04/2020 nella causa C-567/18.

Il caso ha preso le mosse dall’azione promossa dalla licenziataria di un marchio famoso nei confronti di società di e-commerce con l’accusa di contraffazione del marchio per avere “immagazzinato” e posto in vendita prodotti di terzi recanti il proprio marchio senza essere stati autorizzati a farlo.

La Corte pronunciandosi sulla questione ha analizzato in prima battuta l’articolo 9, paragrafo 1, 2 e 3 del Regolamento 2017/1001, secondo cui il marchio dell’Unione Europea conferisce al suo titolare il diritto esclusivo di vietare a terzi di usare nel commercio un segno identico o simile a tale marchio per prodotti o servizi identici o affini a quelli per cui esso è stato registrato, qualora tale utilizzo dia adito a un rischio di confusione per il pubblico.

Al paragrafo 3 viene fornito un elenco non tassativo di possibili “usi” che comporterebbero l’attivazione della protezione: l’offerta, l’immissione in commercio o lo stoccaggio dei prodotti a tali fini, oppure l’offerta o la fornitura di servizi sotto la copertura del segno.

Sul punto, la Corte ha chiarito che, per l’attivazione della protezione di cui sopra, l’”uso” del marchio debba implicare un comportamento attivo e un controllo, diretto o indiretto, sull’atto che costituisce l’uso.

Nel caso di specie le società coinvolte si erano limitate alla conservazione dei prodotti oggetto di trattazione, senza averli offerti in vendita o averli immessi in commercio esse stesse, pertanto non utilizzando attivamente tali segni contraffatti.

 

Per chiarire quanto più il concetto di cui sopra, la Corte ha fornito quale metro di paragone l’esempio di una società che si occupa dell’imbottigliamento di bevande in lattina con impresso un marchio simile ad altro già registrato, su commissione di terzi.

In tal caso l’impresa svolge un’attività meramente tecnica, senza avere alcun interesse nella presentazione esterna delle lattine e nei segni sopra raffigurati. Per tale motivo la società in questione non “utilizza” essa stessa tali segni, bensì crea unicamente le condizioni tecniche affinché il terzo possa utilizzarli.

Allo stesso modo una società che si occupa essenzialmente di stoccaggio merci, come le imprese di Amazon specificatamente adibite all’immagazzinaggio di prodotti venduti da terzi, non “utilizzano” attivamente tali segni, in quanto non hanno l’obiettivo di offrire i prodotti in vendita sul mercato, ma offrono unicamente un mero servizio tecnico (quello del deposito della merce) a beneficio del terzo rivenditore.

Alla luce di quanto sopra, pertanto, la Corte di Giustizia UE ha deciso a favore delle società di stoccaggio stabilendo che “una persona che conservi per conto di un terzo prodotti che violano un diritto di marchio, senza essere a conoscenza di tale violazione, non stocca tali prodotti ai fini della loro offerta o della loro immissione in commercio (..), qualora non persegua essa stessa dette finalità e pertanto non sussiste una violazione della normativa in materia di marchi.