La Commissione di Ricorso EUIPO ha recentemente chiarito, incidentalmente al procedimento n. T-273/19, alcuni aspetti relativi al deposito di un marchio in malafede.
L’esigenza di tale chiarimento si è presentata a fronte dell’azione di nullità promossa nel 2015 da parte di una società contro un marchio dell’Unione Europea depositato e registrato da altra società concorrente, a dire della prima, in malafede.
La domanda di nullità veniva inizialmente respinta da parte della Divisione Annullamento EUIPO, e successivamente veniva respinto anche l’appello, in quanto non sarebbe stata fornita la prova della malafede al momento del deposito della domanda di registrazione del marchio contestato.
La Commissione di ricorso riteneva infatti che per poter dimostrare la “malafede” fosse necessario provare che il soggetto depositante fosse a conoscenza del previo utilizzo del segno per i prodotti/servizi rivendicati da parte della ricorrente e che l’uso dello stesso fosse estraneo alla funzione tipica del marchio, ovvero quello di identificare l’origine imprenditoriale dei prodotti/servizi rivendicati.
Tale decisione è stata nuovamente impugnata con il procedimento T-273/19, sostenendo che la nozione di “malafede” deve essere letta nel contesto della disciplina della proprietà intellettuale e non nel senso comune.
Le norme in materia di marchi hanno l’obiettivo di contribuire ad un sistema concorrenziale in cui ogni impresa deve essere in grado di far registrare come marchi segni che consentano al consumatore di distinguere senza possibile confusione i prodotti e/o servizi propri da quelli di diversa provenienza.
In base a tale assunto, il motivo di nullità assoluta della “malafede” verrà individuato ogni qual volta emerga che il titolare del marchio ha presentato la domanda di registrazione non con l’obiettivo di partecipare in maniera leale al gioco della concorrenza, ma con l’intenzione di pregiudicare in modo sleale gli interessi di terzi o con l’intenzione di ottenere, senza mirare ad un terzo in particolare, un diritto esclusivo per scopi differenti da quelli rientranti nella funzione di un marchio, che è quello dell’identificazione dell’origine commerciale di un certo prodotto/servizio.
Pertanto, ai fini della prova della “malafede”, non è necessario che il titolare del marchio contestato abbia mirato a pregiudicare un terzo in particolare.
L’assenza della prova circa la conoscenza, reale o presunta, dell’uso anteriore del segno di cui si tratta da parte del ricorrente non può comportare il rigetto della domanda di nullità, in quanto tale prova figura come solo uno dei tanti fattori potenzialmente pertinenti da prendere in considerazione, di cui peraltro non è possibile individuare un elenco tassativo.