Il Tribunale di Roma sez. XVII spec. in materia di imprese, con l’ordinanza del 16 dicembre 2021 ha effettuato importanti precisazioni relative ai requisiti minimi necessari per la tutela del marchio di un partito politico.
Premesso che manca una disciplina specifica in merito, fino ad oggi la giurisprudenza riconosceva la possibilità per un marchio di un partito politico di trovare tutela attingendo ai seguenti istituti che operano su piani differenti:
- la disciplina in materia dei diritti della personalità (in primis il diritto al nome) ai sensi degli artt. 6 e 7 Codice civile, essenziale per la riconoscibilità degli stessi partiti di fronte agli elettori, e
- la disciplina in materia di marchi d’impresa e segni distintivi ai sensi del Codice della Proprietà Industriale, laddove “il soggetto politico svolga attività di carattere commerciale”.
Il caso
La sentenza di cui sopra ha avuto ad oggetto la controversia instaurata su iniziativa del “Partito Liberale Italiano” (PLI, riconosciuto all’interno del Registro nazionale dei partiti politici) il quale chiedeva al Tribunale di Roma di ordinare d’urgenza al “Partito Liberale Europeo” (PLE) “la cessazione dell’utilizzo del marchio figurativo e denominativo, nonché della denominazione sociale “PARTITO LIBERALE EUROPEO”, in quanto sosteneva che l’utilizzo fosse stato effettuato in violazione del marchio precedentemente registrato “PARTITO LIBERALE ITALIANO”.
Il PLE, da parte sua, contestava l’assenza di novità, l’utilizzo esclusivo di parole del linguaggio comune e la mera descrittività della denominazione “PARTITO LIBERALE ITALIANO”.
Il Tribunale di Roma ha effettuato una valutazione sulla confondibilità tra la denominazione “PARTITO LIBERALE ITALIANO” e la denominazione “PARTITO LIBERALE EUROPEO” al fine di stabilire la sussistenza effettiva di una violazione del titolo di privativa del PLI.
In coerenza con i principi in materia di segni distintivi, la scarsa capacità distintiva dei segni che impiegano espressioni descrittivo-generiche utilizzate per denominare i partiti politici, benché qualificabili come “marchi deboli”, non ammette modificazioni irrilevanti per escludere la confondibilità tra due denominazioni. Il discrimen per determinare la sussistenza del rischio di confondibilità riguarda la percezione del pubblico degli elettori in relazione al valore differenziale della denominazione.
La decisione
Pertanto, da una valutazione globale delle due denominazioni, è emerso che entrambe sono composte da parole descrittive e che sono quindi scarsamente distintive. Inoltre, le parole “partito” e “liberale” sono identiche in entrambi i segni in conflitto. La diversità risiede esclusivamente nella terza parola, laddove, nel segno contestato, in luogo di “italiano” viene utilizzato l’aggettivo “europeo”.
Tale minima differenza è stata considerata dal Tribunale come non sufficientemente idonea ad escludere il rischio di confusione e di errata identificazione nella comunità sociale dei due partiti politici in causa.
Oltretutto, i due partiti potrebbero partecipare contemporaneamente alle elezioni europee e questa eventualità potrebbe indurre l’elettore medio a ritenere che l’aggettivo “italiano” sia stato sostituito con “europeo” in vista delle elezioni, non distinguendo la diversa identità dei due partiti. Al contrario, se l’aggettivo individuasse un diverso Stato di origine e di operatività propri dei partiti, non sussisterebbe il rischio di confondibilità (ad esempio “Partito Liberale Italiano” e “Partito Liberale Tedesco”).
Alla luce di quanto sopra, il Giudice romano ha quindi stabilito la sussistenza del pericolo di confusione tra la denominazione “Partito Liberale Europeo” e quella adottata anteriormente dal “Partito Liberale Italiano” e ha ordinato la cessazione immediata, in ogni forma e con qualsiasi mezzo, anche all’interno del simbolo e tramite la rete Internet, della denominazione “PARTITO LIBERALE EUROPEO”.
Elena Bandinelli