Facebook e la rimozione globale di commenti diffamatori

“La direttiva 2000/31 deve essere interpreta nel senso che non osta a che un host provider che gestisce una piattaforma di rete sociale sia costretto, nell’ambito di un’ingiunzione, a ricercare e ad individuare, fra tutte le informazioni diffuse dagli utenti di tale piattaforma, le informazioni identiche a quelle qualificate come illecita dal giudice che ha emesso tale ingiunzione”.

Questo è quanto sostenuto dall’Avvocato generale Maciej Szpunar nelle conclusioni presentate in data 4 giungo 2019 in relazione alla causa C- 18/18  Eva Glawischinig- Piesczek VS Facebook Ireland Limited.

Il caso parte dalla vicenda che vede come protagonista la deputata al Nationalrat (Parlamento austriaco) Eva Glawischinig- Piesczek, presidente del gruppo parlamentare die Grunen (“i Verdi”) e suo portavoce nazionale e ha ad oggetto i commenti diffamatori dalla stessa ricevuti sul famoso social network “Facebook”.

In particolare, il 3 aprile 2016, un utente del social aveva condiviso sulla pagina personale un articolo della rivista d’informazione austriaca online chiamato  “oe24.at”  intitolato “I Verdi: a favore del mantenimento di un reddito minimo per i rifugiati”. La pubblicazione dell’articolo ha comportato la generazione e la diffusione di un riquadro anteprima che conteneva il titolo dell’articolo, un breve riassunto e la fotografia della ricorrente.

L’utente aveva commentato l’articolo pubblicato con contenuti degradanti nei confronti della deputata. Tali commenti potevano essere consultati da qualunque utente del social network resistente. La deputata in un primo momento si era rivolta a Facebook Ireland inviando una richiesta di cancellazione del commento, ma non avendo ricevuto soddisfacimento, decideva di presentare ricorso dinanzi al Tribunale di Vienna.

In questa sede veniva richiesta l’emissione di un’ordinanza cautelare che imponesse a Facebook Ireland di cessare la pubblicazione e/o la diffusione di fotografie raffiguranti la ricorrente laddove fossero accompagnate da messaggi che riportavano affermazioni identiche e/o “dal contenuto equivalente” a quelle riportate nel commento pubblicato dall’utente. Il Tribunale adito ha quindi emesso l’ordinanza cautelare richiesta e, di conseguenza, Facebook ha disabilitato l’accesso in Austria al contenuto inizialmente pubblicato. La richiesta della deputata, però, mirava alla rimozione del commento a livello mondiale, pertanto, la questione giunta alla Corte Suprema d’Austria è stata poi rimessa alla Corte di giustizia.

La corte di Giustizia è quindi chiamata a interpretate la direttiva 2000/31 sul commercio elettronico in merito a tale contesto e a decidere se il provvedimento emesso nei confronti del provider che gestisce il social network possa essere esteso anche, a livello mondiale, alle dichiarazioni testualmente identiche e/o dal contenuto equivalente di cui non sia al corrente in base al provvedimento in questione.

L’Avvocato generale nelle sue conclusioni ha affermato che la direttiva in questione non osta a che un host provider, che gestisce la piattaforma di social network, quale Facebook, sia costretto a rimuovere informazioni equivalenti a quelle qualificate come illecita dal Giudice che ha emesso un provvedimento ingiuntivo, e quindi  a ricercare e ad individuare tra tutte le informazioni diffuse dai propri utenti.

Quanto alla rimozione a livello mondiale, l’Avvocato generale ha affermato che la direttiva Ue non disciplina la portata territoriale dell’obbligo di rimozione delle informazioni, testualmente:

“Per quanto riguarda la portata territoriale di un obbligo di rimozione imposto a un hoster provider nell’ambito di un’ingiunzione, si deve ritenere che quest’ultima non sia disciplinata né dall’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2000/31 né da nessuna altra disposizione di siffatta direttiva e, pertanto, che tale disposizione non osta a che un Hoster privider sia costretto a rimuovere informazioni diffuse a mezzo di una piattaforma di rete sociale a livello mondiale. Inoltre, detta portata territoriale non è neanche disciplinata dal diritto dell’Unione, nella misura in cui, nella specie il ricorso della ricorrente non è fondato sul medesimo”.