Le aziende si trovano spesso in grande difficoltà quando un dipendente durante lo svolgimento delle proprie mansioni realizza un’invenzione che risulta particolarmente utile all’impresa. Situazioni del genere sono piuttosto frequenti ed in mancanza di un contratto chiaro e di voci di retribuzione specifiche creano conflitti che nei casi più critici finiscono nelle aule di un Tribunale. Esiste infatti una normativa ben delimitata ma la sua interpretazione non è sempre uniforme. L’art. 64 CPI (Codice della Proprietà Industriale) recita come segue: «1. Quando l’invenzione industriale è fatta nell’esecuzione o nell’adempimento di un contratto o di un rapporto di lavoro o d’impiego, in cui l’attività inventiva è prevista come oggetto del contratto o del rapporto e a tale scopo retribuita, i diritti derivanti dall’invenzione stessa appartengono al datore di lavoro, salvo il diritto spettante all’inventore di esserne riconosciuto autore. 2. Se non è prevista e stabilita una retribuzione, in compenso dell’attività inventiva, e l’invenzione è fatta nell’esecuzione o nell’adempimento di un contratto o di un rapporto di lavoro o di impiego, i diritti derivanti dall’invenzione appartengono al datore di lavoro, ma all’inventore, salvo sempre il diritto di essere riconosciuto autore, spetta, qualora il datore di lavoro o suoi aventi causa ottengano il brevetto o utilizzino l’invenzione in regime di segretezza industriale, un equo premio per la determinazione del quale si terrà conto dell’importanza dell’invenzione, delle mansioni svolte e della retribuzione percepita dall’inventore, nonché del contributo che questi ha ricevuto dall’organizzazione del datore di lavoro. (…)» La giurisprudenza è costante nell’affermare che perché possa ricorrere l’ipotesi di cui al comma 1 occorrono necessariamente entrambi i presupposti previsti che devono intendersi “cumulativi”: a) che l’attività inventiva sia prevista come oggetto del contratto; b) che detta attività sia “a tale scopo retribuita”. Ammesso che il contratto preveda che nelle mansioni del dipendente rientri l’attività inventiva, come talvolta si legge negli accordi interni, il punto critico è proprio la retribuzione specifica. In diverse decisioni si legge infatti che “l’elemento distintivo tra le due ipotesi risiede principalmente nella presenza o meno di un’esplicita previsione contrattuale di una speciale retribuzione costituente corrispettivo dell’attività inventiva” (Cass. civ. Sez. lavoro, 21-03-2011, n. 6367 ma soprattutto Cass. civ. Sez. lavoro, 24-01-2006, n. 1285, Cass. civ. Sez. lavoro, 06/11/2000, n. 14439) giungendo addirittura ad escludere che un “superminimo” dato senza una motivazione pertinente non possa di per sé essere considerato una retribuzione per l’attività inventiva.
Si potrebbe quindi giungere ad affermare che la mancanza di una retribuzione “specifica” per lo svolgimento di un’attività inventiva non consente di soddisfare le condizioni di cui al primo comma dell’art. 64 CPI.
Tuttavia una recente sentenza della Corte di Cassazione del 6 Maggio 2014 (depositata il 25.06.2014), supportata anche da altra giurisprudenza (Cass. civ. Sez. lavoro, 06/03/1992, n. 2732, Cass. civ. Sez. lavoro, 05/11/1997, n. 10851) offre una soluzione diversa e sembra dare un valore preminente alla pattuizione contrattuale nel suo insieme.
Nel caso esaminato dalla Cassazione un dipendente era stato assunto con funzioni di progettazione che comprendevano anche l’apporto di miglioramenti senza che il contratto prevedesse però in modo esplicito l’attività inventiva tra le specifiche funzioni. Parallelamente al dipendente veniva corrisposta un’alta retribuzione.
La Corte ha rilevato che alla luce del contenuto del contratto e tenendo in considerazione il trattamento economico del dipendente a cui spettava anche un “superminimo” di notevolissima entità si doveva interpretare l’accordo tra le parti come includente anche l’attività inventiva. I giudici si sono quindi basati sull’interpretazione della volontà contrattuale che, nonostante l’assenza di esplicite affermazioni in senso favorevole all’azienda, lasciava a loro avviso trasparire in modo evidente che le parti avevano inteso intendere nell’oggetto del contratto l’attività inventiva se pure mai espressamente nominata.
La Corte, così come i giudici di merito precedenti, ha quindi respinto la richiesta di “equo premio” avanzata dal lavoratore dipendente ritenendo che l’invenzione spettasse all’azienda in quanto frutto dell’attività lavorativa già retribuita.