Pubblicare offese al datore di lavoro su Facebook può far scattare il licenziamento

Un dipendente della Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza dei Dottori Commercialisti è stato licenziato per aver pubblicato sulla propria pagina di Facebook commenti offensivi e critici nei confronti della dirigenza, in violazione del regolamento interno che vieta l’acceso tramite pc aziendali a siti internet non funzionali all’attività lavorativa svolta, mentre una collega è stata sospesa dal lavoro senza retribuzione per 15 giorni, per aver commentato uno di detti commenti.

La questione, che verosimilmente sfocerà in un confronto davanti al giudice del lavoro, ha più l’aspetto di una guerra intestina tra direzione generale e dipendenti, piuttosto che di una presa di posizione contro il famoso social network.

La vicenda ha avuto luogo in un ambiente lavorativo dal clima molto teso a seguito del riassesto del CdA nel 2008. In particolare, il mancato rinnovo del CCNL e la conseguente adozione da parte della dirigenza di una politica di disapplicazione di alcuni istituti contrattuali (giorni di ferie, permessi per lutto, buoni pasto) sulla base della non ultrattività del contratto scaduto, hanno innescato un vero e proprio clima da “guerriglia”, con i dipendenti infuriati da un lato, e ben 22 provvedimenti disciplinari emessi in 24 mesi dall’altro.

Al licenziato è stata contestata la pubblicazione sulla propria bacheca di Facebook, durante l’orario di lavoro ma utilizzando il proprio telefono cellulare, di considerazioni a sfondo politico, una vignetta satirica e numerosi commenti ritenuti offensivi nei confronti della direzione generale e della presidenza, nonché altri comportamenti scorretti tenuti durante lo svolgimento della propria attività lavorativa, quali l’aver affisso in azienda al di fuori degli spazi consentiti materiale sindacale e l’aver apostrofato con maleducazione e tono minaccioso il Direttore Generale ed il Presidente della Cassa.

Tuttavia, dalla lettera di contestazioni inviata dalla Cassa al dipendente in seguito licenziato, si evince come la stessa abbia posto in essere un assiduo controllo sui post pubblicati dal dipendente, al fine di accertare una condotta illecita dello stesso, e ciò in palese contrasto con quanto sancito dallo statuto dei lavoratori (Cass. n. 4375/2010).

La Cassa, che precisa di essere venuta a conoscenza delle dichiarazioni contestate a seguito di “un casuale accesso sul social network Facebook”, nel periodo ottobre – dicembre 2010 ha monitorato quotidianamente la bacheca del lavoratore, contestando allo stesso tutto quanto da lui pubblicato durante l’orario di lavoro, anche quanto non inerente all’attività svolta, ma espressione di inclinazioni politiche evidentemente contrastanti col pensiero della direzione.

La vicenda, dall’esito ancora incerto, offre da spunto per alcune riflessioni in tema di libertà di opinione, limiti di subordinazione, tutela della privacy e nuove tecnologie.

La questione del bilanciamento tra l’esercizio del diritto di critica del prestatore di lavoro subordinato, costituzionalmente tutelato dall’art. 21 Cost. e espressamente sancito dall’art. 1 dello Statuto dei Lavoratori, e la libertà d’iniziativa economica privata ex art. 41 Cost., cui si collega il vincolo di subordinazione sancito dal codice civile, è stata oggetto di numerose pronunce giurisprudenziali.

La novità risiede nelle modalità di espressione del proprio diritto di critica.

Se infatti è pacifico che il lavoratore possa discutere delle proprie condizioni lavorative, anche criticandole, nei limiti del rispetto della verità oggettiva e della loro non suscettibilità a provocare un danno economico all’azienda, l’avvento di mezzi di comunicazione globale quali i social network rendono necessaria una più attenta analisi di tale bilanciamento di interessi, che tenga conto anche della tutela della privacy del lavoratore.

Ogni informazione pubblicata sul profilo personale rimane, infatti, archiviata nella rete ipoteticamente per sempre, finendo per poter essere utilizzata contro lo stesso utente.

Una recente indagine di Microsoft ha evidenziato come il 75% delle aziende americane compia ricerche on line sui candidati, e tra queste, il 70% ha ammesso di aver respinto potenziali candidati sulla base di conversazioni su bacheche o fotografie non gradite.

Le attuali forme di tutela della privacy risultano quindi obsolete, ma le legislazioni nazionali tardano a riconoscere il problema, eccezion fatta per la Germania, il cui governo è alle prese con un progetto di legge per la protezione dei dati pubblicati su internet, che vieterebbe ai datori di lavoro di condurre ricerche sui social network sui propri impiegati, attuali e futuri.

Sul punto si è espresso lo scorso 8 febbraio il National Labor Relations Board, agenzia indipendente del governo statunitense che ha competenza per le controversie di lavoro, sancendo l’illegittimità del licenziamento del dipendente che pubblichi critiche ai propri supervisori su Facebook.

Un’assistente medico era infatti stata licenziata dopo che, in violazione del regolamento interno estremamente restrittivo della libertà di opinione dei dipendenti, aveva pubblicato sul proprio profilo commenti negativi sul proprio supervisore, istigando così “alla rivolta” gli altri colleghi.

Secondo NLRB la normativa federale a tutela la libertà di espressione del lavoratore, permette di criticare anche i propri superiori dentro e fuori l’ambiente di lavoro. Internet altro non è se non uno dei tanti mezzi con cui esprimere le proprie opinioni, e pertanto un lavoratore dipendente non può essere sanzionato per quanto pubblicato su Facebook.

In base all’accordo stipulato tra l’American Medical Response of Connecticut ed il NLRB, l’azienda ha accettato di rendere meno restrittivo il regolamento interno, in modo tale da consentire ai propri dipendenti il libero scambio di opinioni sulle condizioni lavorative anche su internet, mentre con il lavoratore è stato raggiunto un accordo rimasto privato.

La decisione statunitense non stupisce, tenuto conto della tradizione storica americana di tutela della libertà di espressione.

Tuttavia, a livello nazionale non è dato sapere quale sarà l’orientamento giurisprudenziale in materia. Indubbiamente si avverte la necessità di una regolamentazione che tenga conto dell’avvento delle nuove tecnologie nella gestione dei rapporti tra datori di lavoro e impiegati, libertà di espressione e tutela della riservatezza.