Con la sentenza n. 16975 dell’11/02/2020, la Corte di Cassazione ha chiarito i confini della tutela riconosciuta a particolari categorie di informazioni aziendali.
Il Caso
Il caso esaminato dalla Corte riguardava quattro ex collaboratori di una società attiva nel campo della progettazione e commercializzazione di apparecchiature meccaniche che, dopo essersi dimessi, avevano realizzato un prodotto tecnologicamente sofisticato per poi cederlo ad un’impresa concorrente.
L’ex datore di lavoro lamentava l’indebita sottrazione di know how, sostenendo che il prodotto in questione fosse stato realizzato sfruttando le conoscenze acquisite nella propria azienda durante lo sviluppo di un prodotto del tutto analogo, realizzato proprio con la collaborazione degli imputati.
Con questa pronuncia la Corte ha confermato le condanne a carico degli imputati, soffermandosi sul contenuto della tutela riconosciuta al know how alla luce del vigente quadro normativo.
Le informazioni, infatti, possono costituire una porzione rilevante del patrimonio aziendale, soprattutto quando rappresentano un bagaglio di conoscenze strategiche che consentono all’imprenditore di restare sul mercato e mantenere un vantaggio commerciale sui concorrenti.
Il Know How
In particolare, con il termine know how si identifica “quel patrimonio cognitivo e organizzativo necessario per la costruzione, l’esercizio, la manutenzione di un apparato industriale”.
La Corte accoglie questa definizione, specificando altresì che tale espressione ricomprende “l’intero patrimonio di conoscenze di un’impresa, frutto di esperienze e ricerca accumulatesi negli anni, e capace di assicurare all’impresa un vantaggio competitivo, e quindi un’aspettativa di un maggiore profitto economico”. Al know how è quindi riconosciuto uno specifico valore economico, pari all’ammontare degli investimenti richiesti per la sua acquisizione e al vantaggio concorrenziale che genera per l’imprenditore.
Trattandosi di informazioni da cui può dipendere la stessa permanenza sul mercato dell’impresa, l’ordinamento riconosce una tutela puntuale al know-how, che viene declinata diversamente a seconda della tipologia di informazione che si assume abusivamente acquisita e del conseguente danno che ne può derivare.
In primo luogo, l’art. 2105 del Codice Civile obbliga il lavoratore a non divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizi. Si tratta di un obbligo previsto in via generale a carico del lavoratore, che gli impone di tenere un comportamento leale e fedele nei confronti del proprio datore di lavoro, astenendosi da qualsiasi atto che possa nuocergli, anche solo potenzialmente.
L’art. 98 del Codice della Proprietà Industriale tutela invece una specifica categoria di informazioni, ossia i “segreti commerciali”.
Questa norma si applica alle informazioni aziendali e alle esperienze tecnico-industriali, comprese quelle commerciali, che non sono note agli altri operatori del settore e che hanno un valore economico proprio perché vengono mantenute segrete attraverso l’applicazione di adeguate misure di sicurezza. Se ricorrono tutti questi requisiti, le informazioni sono considerate “segrete” e chi le detiene ha il diritto di vietarne l’utilizzo abusivo, l’acquisizione o la rivelazione a terzi.
Oltre alla protezione offerta dal diritto civile, il know how è tutelato anche dal diritto penale. In particolare, l’art. 623 del Codice Penale punisce con la reclusione fino a due anni la rivelazione o l’impiego di “segreti commerciali” acquisiti abusivamente.
Nonostante l’identità terminologica, la nozione di “segreti commerciali” accolta dal Codice Penale è più ampia di quella descritta dall’art. 98 del Codice della Proprietà Industriale.
Con la sentenza in commento, infatti, la Corte ha chiarito che il “segreto” di cui all’art. 623 C.P. “comprende quell’insieme di conoscenze riservate e di particolari modus operandi in grado di garantire la riduzione al minimo degli errori di progettazione e realizzazione e dunque la compressione dei tempi di produzione “.
La tutela penale si estende pertanto all’intero patrimonio cognitivo e organizzativo necessario per la costruzione, l’esercizio e la manutenzione di un apparato industriale, comprendendo tutte le informazioni su produzioni industriali e programmi commerciali per le quali sia individuabile un interesse giuridicamente apprezzabile al mantenimento del segreto.
Il campo di applicazione della norma penale risulta dunque più esteso di quello delineato dal Codice della Proprietà Industriale perché sono punite anche le condotte relative a informazioni che non possono considerarsi “segrete” ai sensi del citato art. 98. Ne consegue che la divulgazione di un’informazione potrebbe integrare il reato previsto dall’art. 623 c.p. anche se la stessa informazione non risulta protetta dal Codice della Proprietà Industriale.
Conclusioni
Sulla base di queste considerazioni, la Corte ha ritenuto corretta la motivazione espressa dalla Corte d’Appello di Milano, riconoscendo gli imputati colpevoli del reato di cui all’art. 623 C.P.
Infatti, gli ex collaboratori erano stati in grado di realizzare un prodotto tecnologicamente sofisticato e fortemente concorrenziale in soli tre mesi grazie al know how acquisito mentre erano alle dipendenze dell’azienda precedente.