La Corte di Cassazione, con la recente ordinanza n. 37362 del 29 novembre 2021, si è espressa in materia di violazione dei segreti commerciali, sottrazione del know-how ed in particolar modo di prova della concorrenza sleale ex art. art. 2598 n. 3 del Codice Civile (“c.c.”).
La vicenda trae origine da un giudizio di primo grado davanti il Tribunale di Firenze tra una società italiana, operante nel settore della progettazione e produzione di componenti di parti di motocicli, biciclette ed autoveicoli e due società statunitensi. La società italiana chiedeva la condanna delle società convenute al risarcimento dei danni per l’inadempimento dell’accordo di segretezza e dell’accordo di produzione (aventi ad oggetto la fabbricazione degli stampi necessari e la produzione di un freno a disco idraulico per cicli) conclusi con un’altra società statunitense, successivamente acquisita dalle convenute, ed in particolare per violazione dei segreti commerciali, sottrazione di know-how ed atti di concorrenza sleale.
Il Tribunale di Firenze rigettava la suddetta domanda della società italiana e la Corte di Appello confermava la decisione di primo grado, rigettando l’appello. La società italiana ricorreva pertanto in Cassazione.
La Suprema Corte ha confermato quanto sostenuto nei precedenti gradi di giudizio, affermando che entrambi i giudici di merito hanno correttamente esaminato il materiale istruttorio ed hanno concordemente ritenuto che da tale materiale non emergessero particolari soluzioni tecniche innovative, bensì un’attività di mera ingegnerizzazione, non tutelabile come know-how ai sensi dell’art. 98 del Codice della Proprietà Industriale (“C.P.I.”), che definisce “segreti commerciali” «le informazioni aziendali e le esperienze tecnico-industriali, comprese quelle commerciali, soggette al legittimo controllo del detentore, ove tali informazioni: a) siano segrete, nel senso che non siano nel loro insieme o nella precisa configurazione e combinazione dei loro elementi generalmente note o facilmente accessibili agli esperti ed agli operatori del settore; b) abbiano valore economico in quanto segrete; c) siano sottoposte, da parte delle persone al cui legittimo controllo sono soggette, a misure da ritenersi ragionevolmente adeguate a mantenerle segrete».
Per quanto riguarda la concorrenza sleale ex art. 2598 n. 3 c.c., ai sensi del quale compie atti di concorrenza sleale chiunque “si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda” , la Corte di Cassazione, nell’ordinanza in esame, ha sostenuto che i giudice del merito hanno correttamente ritenuto che la condotta divulgativa dei supposti segreti commerciali è stata soltanto asserita dalla società ricorrente e che “ anche ai fini della tutela ex art. 2598 n. 3 c.c. (i cui presupposti sono meno rigorosi della tutela ex art. 99 C.P.I.), non è stata fornita «la prova della condotta contraria a correttezza professionale e la sua idoneità a danneggiare il concorrente leale, mediante l’utilizzazione delle conoscenze tecniche usate da altra impresa», poiché «nel caso in esame si sarebbe trattato di mera attività di ingegnerizzazione, facilmente riproducibile da esperti di settore»”.
La Corte di Cassazione ha quindi dichiarato inammissibile il ricorso della società italiana.