Il Tribunale di Firenze ha recentemente emesso un’ordinanza che apre finalmente il varco al riconoscimento concreto di tutti quei diritti che fino ad oggi sono stati più previsti sulla carta che rispettati sul mercato.
È notorio per chi vive a Firenze che qualsiasi bancarella propone le immagini del David di Michelangelo sui gadget più disparati ed in tutte le forme, talvolta anche con discredito dell’opera stessa. Ognuno di noi credo ne abbia provato imbarazzo anche perché il David, più di ogni altra opera, è il simbolo per eccellenza di Firenze.
Il Codice dei beni culturali (D. Lgs. 22.01.2004 n. 42) prevede espressamente che le opere facenti parte del patrimonio culturale devono essere protette e che il loro sfruttamento commerciale è subordinato all’autorizzazione da parte dell’autorità che le ha in consegna.
In base all’art. 107 del Codice «Il Ministero, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali, possono consentire la riproduzione, non ché l’uso strumentale e precario dei beni culturali che abbiano in consegna»
Dalla lettura della norma si evince chiaramente che la riproduzione di un’opera non è libera ma è sottoposta al “consenso” che l’autorità può decidere di concedere o meno stabilendo il canone che deve essere corrisposto.
L’art. 107 del Codice prevede che «I canoni di concessione ed i corrispettivi connessi alle riproduzioni di beni culturali sono determinati dall’autorità che ha in consegna i beni tenendo anche conto: a) del carattere delle attività cui si riferiscono le concessioni d’uso; b) dei mezzi e delle modalità di esecuzione delle riproduzioni; c) del tipo e del tempo di utilizzazione degli spazi e dei beni; d) dell’uso e della destinazione delle riproduzioni, nonché dei benefici economici che ne derivano al richiedente. 2. I canoni e i corrispettivi sono corrisposti, di regola, in via anticipata. 3. Nessun canone è dovuto per le riproduzioni richieste ((o eseguite)) da privati per uso personale o per motivi di studio, ovvero da soggetti pubblici o privati per finalità di valorizzazione, purché attuate senza scopo di lucro. I richiedenti sono comunque tenuti al rimborso delle spese sostenute dall’amministrazione concedente. 3-bis. Sono in ogni caso libere le seguenti attività, svolte senza scopo di lucro, per finalità di studio, ricerca, libera manifestazione del pensiero o espressione creativa, promozione della conoscenza del patrimonio culturale (…)»
Il Codice dei beni culturali, dopo la riforma Franceschini, è stato ulteriormente modificato in modo da favorire la fruizione del patrimonio culturale per finalità di studio e di ricerca oltre che per il godimento e l’arricchimento personale, ma dall’altro lato ha ribadito la necessità che ogni uso commerciale di questo importante patrimonio sia sotto il controllo dell’amministrazione e sia, se concesso a terzi, remunerato.
Il principio è di fondamentale importanza dal punto di vista morale ed economico.
I beni culturali rappresentano il nostro paese e ne costituiscono uno dei valori più importanti, per non dire il più importante. È quindi assolutamente necessario che l’uso delle immagini di questi beni sia sotto il controllo dell’amministrazione per evitarne abusi che possono anche ledere, anziché arricchire, l’immagine dello Stato.
I beni culturali rappresentano però anche una fonte potenziale di reddito molto significativa e lo sfruttamento commerciale delle riproduzioni delle opere d’arte, se gestito in modo dinamico e moderno, potrebbe dare risultati interessanti.
Ne sono un esempio molti musei stranieri, ed anche musei italiani, che hanno saputo organizzare intorno alle loro opere una struttura organizzativa capace di sfruttare le immagini delle opere, i marchi dei musei, e tutte le conoscenze dell’amministrazione, rendendo tra l’altro un ottimo servizio ai visitatori.
Tra questi si citano ad esempio i numerosi marchi registrati dalla Réunion des Musées Nationaux in Francia, alla quale appartengono i celebri musei del Louvre e di Orsay, il Museo Nacional del Prado di Madrid, o il Rijksmuseum di Amsterdam, che hanno registrato i propri marchi a livello nazionale ed europeo oltre che per i servizi museali anche per vari servizi aggiuntivi.
Il Rijksmuseum in particolare ha investito enormi risorse per digitalizzare ad alta definizione l’intero patrimonio culturale di sua proprietà, permettendo la riproduzione a titolo gratuito per finalità non commerciali delle opere in pubblico dominio ed istituendo un’apposita sezione nel proprio sito Internet per richiedere le immagini ad una definizione ancora maggiore per il riutilizzo per scopi professionali, dietro pagamento di un canone di concessione.
In Italia, si citano gli esempi del Museo d’arte orientale, che è un marchio nazionale registrato dalla Città di Torino sia per servizi in ambito museale che per prodotti e servizi connessi, come ad esempio le pubblicazioni di materiale editoriale o le audioguide. O ancora, l’Opera di Santa Maria del Fiore di Firenze, che ha effettuato numerose registrazioni di marchi, a livello europeo e nazionale, utilizzati ampiamente nell’attività di merchandising legata ai servizi museali.
È di tutta evidenza che il David di Michelangelo è un’opera che merita una protezione a tutto tondo ed il cui sfruttamento commerciale potrebbe dare un grosso contributo alle casse dell’Accademia, generando un introito che potrebbe essere utilizzato per migliorare ed arricchire i servizi offerti dalla stessa.
In questo contesto l’ordinanza del Tribunale di Firenze del 26.10.2017 (RG 13758/2017) è davvero illuminante e c’è da augurarsi che sia solo il primo di una serie di interventi della magistratura in questa direzione.
Il caso ha avuto ad oggetto l’attività della Visit Today, agenzia di viaggi che vende oltre ai tour anche biglietti per l’ingresso ai musei ad un prezzo maggiorato dopo averli acquistati dai vari musei.
Tra i biglietti proposti vi erano anche quelli per l’ingresso al Museo dell’Accademia di Firenze al cui interno è conservato il David di Michelangelo e proprio l’immagine del David era stata riprodotta sui depliant e sul sito Internet della Visit Today.
Il Ministero dei Beni e Attività Culturali e del Turismo ha presentato ricorso al Tribunale di Firenze lamentando la violazione dell’art. 108 del D. Lgs. 42/2004 non avendo la Visit Today mai richiesto e tanto meno ottenuto il consenso all’uso della suddetta immagine. Il Ministero lamentava altresì una forma di “abuso” dell’immagine altrui nonché una forma di concorrenza sleale.
Il Tribunale ha apertamente riconosciuto i diritti vantati dal Ministero riscontrando che l’art. 108 del Codice riserva all’autorità che ha in consegna il bene culturale il diritto di consentirne la riproduzione, essendo libera la riproduzione solo se effettuata senza scopo di lucro.
Nell’ordinanza del Tribunale si legge: «non vi è dubbio sulla qualificazione della scultura in oggetto come bene culturale, né sul fatto che l’autorità che lo ha in consegna è la Galleria dell’Accademia di Firenze, riconducibile al Ministero ricorrente; pertanto il suo utilizzo a fini lucrativi effettuato tramite riproduzione della sua immagine rientra nelle ipotesi per le quali è necessaria la concessione dell’autorità amministrativa».
Pertanto il Giudice ha ritenuto che l’uso della figura e del nome del David per pubblicizzare un’attività commerciale fatto dalla Visit Today costituisce un illecito fondato sull’art. 108 del Codice e quindi risarcibile ai sensi dell’art. 2043 c.c.
Il Tribunale di Firenze ha quindi accolto il ricorso e condannato a cessare immediatamente ogni riproduzione «a fini commerciali dell’immagine del David di Michelangelo o di parti di esso, in qualunque forma e/o strumento, anche informatico», ordinando altresì il ritiro dal mercato e la distruzione di tutto il materiale che riproduce tale immagine.
Il Tribunale non avrebbe invece, in via di un sommario esame, ritenuto sussistere un’ipotesi di concorrenza sleale in quanto l’Accademia e l’agenzia di viaggio non sarebbero in un rapporto di concorrenza, ma questo aspetto merita probabilmente un ulteriore approfondimento.
Il concetto di concorrenza è infatti molto ampio e non è aprioristicamente escluso che un ente pubblico come l’Accademia possa anche qualificarsi come imprenditore nel senso lato con cui esso viene inteso nella normativa comunitaria e questo non parrebbe in via di principio escluso dal Giudice.
In giurisprudenza, la disciplina della concorrenza sleale è stata riconosciuta applicabile anche in capo ad associazioni od enti che, pur non perseguendo finalità di lucro, forniscano in via continuativa, ed attraverso una stabile organizzazione un’attività rilevante sul piano economico.
Inoltre, è già stato più volte riconosciuto in passato che soggetti attivi e passivi delle condotte anticoncorrenziali ai sensi dell’art. 2598 c.c. possono essere anche enti pubblici non economici qualora svolgano attività d’impresa in regime di concorrenza, ovverosia quando l’attività in questione non sia esplicata in posizione di supremazia.
Nel caso di specie pertanto meriterebbe approfondire se la natura dell’attività di vendita dei biglietti d’ingresso praticata dalla Galleria dell’Accademia non possa essere qualificata come un’attività di tipo imprenditoriale ai sensi della disciplina summenzionata e se l’Accademia possa essere dal punto di vista concorrenziale sullo stesso piano di un’agenzia di viaggi che vende biglietti per l’ingresso ai musei.
Ulteriore argomento degno di approfondimento, sebbene non abbia fatto espressamente oggetto di domanda al Tribunale di Firenze, riguarda la condotta illecita di secondary ticketing, consistente nella rivendita professionale e organizzata sul mercato secondario e a prezzo maggiorato dei biglietti di ingresso all’Istituto.
Il fenomeno del secondary ticketing è stato recentemente oggetto di due pronunce del Tribunale di Roma del 2016 su due ricorsi d’urgenza presentati dalla SIAE in relazione alla rivendita a prezzi maggiorati dei tickets di alcuni concerti da parte di rivenditori non autorizzati. Il Tribunale ha riconosciuto l’illiceità di tale condotta in quanto volta ad eludere il diritto patrimoniale d’autore, con pregiudizio anche dei consumatori finali e dell’erario.
Il fenomeno è stato finora affrontato in relazione a titoli di accesso ad attività di spettacolo, ma forse potrebbe meritare sottoporre all’attenzione di un Tribunale l’eventuale estensione del divieto anche ad ulteriori fattispecie.
Il Tribunale di Firenze, oltre ad avere condannato la Visit Today a rimuovere il materiale anche da Internet ha altresì ordinato che sul sito visittodayitaly.com venga pubblicata l’ordinanza per esteso per sessanta giorni. Il tutto prevedendo altresì pesanti penali in caso di non ottemperanza.
Decisamente una bella vittoria per l’Accademia ma anche per tutta l’Italia che ci auguriamo servirà ad avviare un cambiamento di mentalità oltremodo necessario ed a porre fine agli abusi quotidiani che le immagini del nostro patrimoni artistico del nostro paese subiscono quotidianamente.
Laura Turini