La riproduzione delle funzionalità di un software non sempre costituisce contraffazione

Con sentenza del 15/07/2021, n. 20250, la Corte di Cassazione ha confermato che non sempre costituisce contraffazione la creazione di un software con funzionalità analoghe ad un altro software già esistente, neppure nel caso in cui il nuovo software venga creato partendo dal codice sorgente di quello già esistente.

Il caso riguardava una controversia promossa dalla società autrice di un software utilizzato nell’ambito delle consultazioni elettorali, al fine di gestire in modo automatizzato le procedure di scrutinio dei voti e di spoglio delle schede. Detto software era stato concesso in licenza ad una seconda società che, a sua volta, aveva sviluppato un software in grado di svolgere le stesse funzionalità del programma licenziato, cedendolo poi alla Pubblica Amministrazione a tempo indeterminato.

Quindi, la società autrice del primo software, accusava la sua licenziataria di aver illecitamente decompilato il software, studiandone la procedura e rielaborando il codice sorgente del programma con l’obiettivo di crearne un altro in grado di svolgere le stesse funzioni di quello concesso in licenza. Obiettivo che, una volta raggiunto, avrebbe danneggiato la società licenziante anche sotto il profilo economico, trattandosi di una condotta che avrebbe leso i diritti d’autore detenuti sul programma oltre che sleale sotto il profilo concorrenziale.

Tuttavia, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso confermando le decisioni emesse nei due precedenti gradi di giudizio. Infatti, partendo dall’assunto per cui “non è di per sé illecito realizzare un nuovo software che soddisfi le medesime esigenze funzionali di un software già in uso” la Corte rileva come i due programmi abbiano due diversi codici sorgente.

Sulla base di queste considerazioni, la Corte afferma che il secondo software, sviluppato dalla licenziataria, non sarebbe una mera rielaborazione del primo ma un’opera creativa nuova e dotata di una diversa “forma espressiva”. Infatti, nel corso del procedimento il Consulente Tecnico aveva accertato che i due programmi apparissero differenti “dal punto di vista della loro espressione formale costituita dal codice sorgente”, con la conseguenza che il secondo software non potesse ritenersi una contraffazione del primo.

Neppure l’utilizzo delle informazioni ottenute attraverso la decompilazione è stato ritenuto sufficiente a integrare l’ipotesi di contraffazione. Infatti, la Corte ricorda che l’art. 64-quater della Legge sul Diritto d’Autore (L. n. 633/1941) vieta “che le informazioni ottenute a mezzo della riproduzione del codice sorgente “siano utilizzate per lo sviluppo, la produzione o la commercializzazione di un programma per elaboratore sostanzialmente simile nella sua forma espressiva, o per ogni altra attività che violi il diritto di autore” ma, nel caso in questione, è stato escluso che il secondo software avesse una forma espressiva simile al primo, così come si è esclusa “quell’identità espressiva tra i due programmi” tale da far ritenere che il secondo programma costituisca una riproduzione abilmente mascherata di quello antecedente.

Infine, è stato escluso che le condotte contestate alla società licenziataria siano qualificabili come atti di concorrenza sleale, ai sensi dell’art. 2598 del Codice Civile.

La Corte al riguardo, pur ritenendo che un’ulteriore valutazione della questione non rientrasse tra le proprie competenze, ha comunque affermato che la concorrenza sleale per imitazione servile “si identifica con la sola riproduzione delle forme esteriori individualizzanti il prodotto del concorrente…e non anche di quelle rese necessarie dalle caratteristiche funzionali del prodotto stesso”.

In conclusione, si è riaffermata la liceità dello sviluppo di un software in grado di eseguire le stesse funzioni di un programma già esistente, anche qualora il nuovo software sia stato creato grazie alle informazioni ottenute dallo studio del codice sorgente del software precedente, ma a condizione che il secondo software abbia un codice sorgente diverso e che tale codice non riprenda il “nucleo centrale” del codice sorgente originario.