Nella recente sentenza del 13 Marzo 2013 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha respinto il ricorso presentato dai fondatori di “The Pirate Bay”, condannati per avere consentito la trasmissione di materiale pirata attraverso il loro famoso sito di file sharing.
I ricorrenti sostenevano che la loro condanna fosse ingiusta e che non potesse essere ritenuta illecita la loro attività in virtù del diritto di libertà di espressione sancito dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
L’art. 10 della convenzione prevede che:
«1. Ogni persona ha diritto alla libertà d’espressione. Tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza ingerenza alcuna da parte delle autorità pubbliche e senza considerazione di frontiera. Il presente articolo non impedisce che gli Stati sottopongano a un regime di autorizzazione le imprese di radiodiffusione, di cinema o di televisione. 2. L’esercizio di queste libertà, comportando doveri e responsabilità, può essere sottoposto a determinate formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni previste dalla legge e costituenti misure necessarie in una società democratica, per la sicurezza nazionale, l’integrità territoriale o l’ordine pubblico, la prevenzione dei reati, la protezione della salute e della morale, la protezione della reputazione o dei diritti altrui, o per impedire la divulgazione di informazioni confidenziali o per garantire l’autorità e la imparzialità del potere giudiziario.»
La Corte, facendo riferimento a questo secondo comma, ha stabilito che nel caso di specie le misure restrittive adottate dalla normativa nazionale per impedire la diffusione di materiale pirata fossero legittime e compatibili vista la natura del materiale trasmesso ed il mezzo utilizzato.
Pertanto nel bilanciamento dei due interessi, da un lato quello della libertà di espressione dall’altro quello di tutela del diritto d’autore, ha prevalso il secondo.
Nella sentenza espressamente si legge:
«In conclusione, tenuto conto di tutte le circostanze del caso di specie, in particolare della natura delle informazioni contenute nel materiale condiviso e delle ragioni rilevanti per l’interferenza con la libertà di espressione dei ricorrenti, la Corte ritiene che l’ingerenza era “necessaria in una società democratica”ai sensi dell’articolo 10 § 2 della Convenzione».