L’Avvocato Generale della Corte di Giustizia dell’UE, Gerard Hogan, nelle conclusioni presentate lo scorso 23 settembre 2021 si è espresso sulla corretta interpretazione dell’art. 5, par. 2, lett. b) della c.d. direttiva Infosoc (2001/29/CE) e, nello specifico, se sia possibile riprodurre o memorizzare su cloud contenuti protetti dal diritto d’autore.
La domanda di pronuncia pregiudiziale, che trae origine da una controversia dinanzi al Tribunale superiore del Land di Vienna tra una collecting society austriaca ed un fornitore di servizi di hosting, riguarda se sia dovuto o meno un compenso per l’esercizio del diritto di riproduzione da parte di quest’ultimo per l’attività, in favore di persone fisiche per uso privato, di memorizzazione di contenuti protetti dal diritto d’autore su un server commerciale tramite tecniche di cloud computing.
Si noti che è la stessa direttiva Infosoc all’art. 5, par. 2, lett. b) a prevedere che ciascuno Stato membro possa adottare un’eccezione – al diritto di riproduzione – «per copia privata» purché venga riconosciuto al titolare dei diritti un equo compenso. Pertanto, laddove uno Stato non si avvalga di tale esenzione, la riproduzione del contenuto protetto senza l’autorizzazione del titolare sarebbe in violazione del diritto di riproduzione di cui all’art. 2 della stessa direttiva e, dunque, illecita.
La questione pregiudiziale oggetto di ricorso alla Corte di Giustizia UE è se, e in caso in quale misura, l’eccezione per copia privata possa applicarsi anche alle riproduzioni di contenuti protetti dal diritto d’autore effettuate da persone fisiche per uso privato nello spazio di archiviazione o nelle memorie (su cloud) messi a disposizione o forniti da un terzo.
Al riguardo, l’Avvocato Generale ha ritenuto che la riproduzione basata su servizi di cloud computing forniti da un terzo debba ritenersi ricompresa nel concetto di “riproduzione su qualsiasi supporto” di cui al citato art. 5, par. 2, lett. b), della direttiva. In particolare, nelle rassegnate conclusioni alla CGUE si legge che “Non è dovuto un prelievo o un contributo separato per la riproduzione da parte di una persona fisica a fini personali basata su servizi di cloud computing forniti da un terzo, purché i prelievi pagati per i dispositivi/supporti nello Stato membro in questione riflettano anche il pregiudizio arrecato al titolare del diritto da tale riproduzione”.
Nella soluzione proposta alla CGUE Hogan precisa inoltre che “Se uno Stato membro ha infatti scelto di prevedere un sistema di prelievo per i dispositivi/media, il giudice del rinvio è in linea di principio legittimato a presupporre che ciò costituisca di per sé un “equo compenso” ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2001/29, a meno che il titolare del diritto (o il suo rappresentante) possa dimostrare chiaramente che tale pagamento sarebbe, nelle circostanze del caso di specie, inadeguato”.
In altri termini, laddove la Corte di Giustizia dovesse concordare con le conclusioni dell’AG – e ritenere dunque applicabile l’eccezione per copia privata alle riproduzioni su cloud – sarà necessario individuare l’«equo compenso» spettante al titolare dei diritti e, in particolare, se questo possa essere ricompreso nell’(eventuale) contributo per copia privata versato dalle persone fisiche al momento dell’acquisto di supporti idonei alla riproduzione di contenuti protetti dal diritto d’autore o se, invece, sia necessario un compenso supplementare.