Tutela delle opere dell’ingegno: la Cassazione ricapitola i principi guida nel giudizio di plagio

La Corte di Cassazione, con sentenza dello scorso 26 gennaio 2018, n. 2039 è tornata a pronunciarsi in materia di diritto d’autore e plagio di opere d’arte, al termine di una controversia instaurata dagli aventi causa del pittore Emilio Vedova, noto esponente della corrente pittorico-artistica della cd. “arte informale”.

La controversia in oggetto verteva sulla lamentata violazione dei diritti spettanti alla Fondazione E. e A. Vedova –  quale erede universale dell’artista – da parte di P. D., autore delle opere ritenute plagiarie, e della Galleria d’arte O., convenuta in giudizio quale responsabile in solido per aver commercializzato tali dipinti e condannata al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale patito dagli attori originari con sentenza del Tribunale di Milano, confermata anche nel secondo grado di giudizio.

La Suprema Corte, chiamata a pronunciarsi su ricorso presentato dalla Galleria d’arte, ha confermato la sentenza della Corte d’appello di Milano, con una pronuncia che conferma il consolidato quadro giuridico in materia di raffronto di due opere ai fini della determinazione della sussistenza del plagio.

Anzitutto, la Cassazione ha ricordato che, perché possa discorrersi di plagio, l’opera plagiata deve presentare un atto creativo, seppur minimo.

Ha poi riaffermato che il plagio sussiste quando fra le due opere a raffronto sia riscontrabile un’identità di espressione, “intesa come forma attraverso la quale si estrinseca il contenuto del prodotto intellettuale”, tenendo ben presente che la legge sul diritto d’autore non protegge l’idea in sé, la quale può invece essere riprodotta da parte di terzi come autonomo risultato della loro attività intellettuale, senza che si configuri un’ipotesi di plagio.

Dunque l’opera plagiaria, per ritenersi tale, deve essere priva di un cd. “scarto semantico” rispetto all’opera plagiata, dalla quale abbia mutuato il cd. “nucleo individualizzante o creativo” “ricalcando in modo pedissequo quanto da altri ideato ed espresso in forma determinata ed identificabile”.

Ciò posto, la Suprema Corte ha ricordato che tale verifica deve essere operata sulla base del riscontro delle difformità dalle caratteristiche essenziali, all’esito di una valutazione complessiva e sintetica che deve essere svolta in sede di merito, mediante espletamento di una consulenza tecnica.

La Cassazione ha dunque ritenuto che la Corte d’appello di Milano avesse correttamente applicato i principi suesposti, ravvisando l’esistenza del plagio per essere l’opera del P.D. “quasi del tutto sovrapponibile” all’opera di Vedova “con ampia descrizione delle identità di posizione dei piani, masse cromatiche, proporzioni”, e ritenendo “le minime diversità riscontrate (…) semplificanti o commerciali”.

Infine, sul piano delle responsabilità, la Corte di Cassazione ha ricordato che sono solidalmente responsabili dell’illecito di plagio, oltre all’autore materiale dell’opera plagiaria, anche tutti i soggetti che abbiano contribuito alla commercializzazione della medesima nell’ambito della propria attività imprenditoriale.

Pertanto, a giudizio della Cassazione nel caso di specie la Corte d’appello ha correttamente reputato la Galleria d’arte responsabile solidalmente a titolo di colpa, “rientrando nel dovere di diligenza qualificata, di cui all’art. 1176 c.c., gravante sugli operatori esperti nel mercato dell’arte, la verifica che le opere pose in vendita non si palesino plagiarie”.