Con ordinanza dell’11 luglio 2022, il Tribunale di Milano ha accolto il ricorso presentato da Sony, Universal e Warner contro CloudFlare Inc., ordinando di inibire la risoluzione DNS di qualsiasi sito che consenta di scaricare illecitamente file torrent.
Il DNS (Domain Name System) è un sistema che consente di tradurre in nomi comprensibili (es. www.brevettinews.it) le stringhe numeriche che compongono gli indirizzi IP (es. 185.31.40.12). È grazie al DNS che gli utenti possono accedere ai siti web facendo una ricerca per “nome”.
Infatti, ogni dispositivo collegato alla rete è dotato di un indirizzo IP ed è attraverso gli indirizzi IP che comunicano i browser web. Quindi, quando un utente cerca una pagina digitando un nome (es. brevettinews) il DNS lo traduce in un linguaggio comprensibile alla macchina, convertendolo nell’indirizzo IP corrispondente al sito attraverso un processo denominato risoluzione DNS. Senza il DNS, per trovare un sito sarebbe necessario digitare nel browser l’indirizzo IP della pagina che si vuole raggiungere.
La vicenda sottoposta al Tribunale di Milano riguarda il servizio DNS pubblico fornito da CloudFlare, che può essere utilizzato come servizio alternativo alla risoluzione DNS generalmente fornita dagli operatori di telecomunicazioni (mere conduit provider).
In particolare Sony, Universal e Warner – attraverso le rispettive società controllate in Italia – avevano scoperto l’esistenza di tre piattaforme che consentivano di scaricare illecitamente brani musicali presenti nei repertori delle tre case discografiche attraverso il relativo file torrent (kickasstorrents.to, limetorrents.pro e ilcorsaronero.pro).
Questa circostanza era stata segnalata già lo scorso anno all’AGCOM che, considerate le violazioni massive dei diritti d’autore delle tre società, aveva ordinato a tutti i prestatori di servizi di disabilitare l’accesso degli utenti italiani ai tre siti torrent.
Tuttavia, nel verificare l’attuazione di tali disabilitazioni, le tre ricorrenti avevano accertato che i siti in questione erano stati bloccati dai fornitori dei servizi di connessione (mere conduit provider) ma che restavano perfettamente accessibili attraverso i servizi DNS prestati da CloudFlare.
Questo perché il servizio DNS offerto da CloudFlare consente agli utenti di individuare e raggiungere i siti anche aggirando i blocchi imposti dalle autorità e implementati dalle società di telecomunicazione.
In sostanza, CloudFlare offre servizi atti a filtrare tutte le richieste di connessione ad un determinato sito da parte degli utenti, rendendole così più sicure perché tutti gli utenti collegati a CloudFlare utilizzano la connessione di tale soggetto, e non la loro. In questo modo però, CloudFlare si interpone tra la richiesta di accesso ad un determinato sito e il sito stesso, agendo così come intermediario e servendo l’utente finale con i dati memorizzati nei vari data-center dislocati sui territori.
Pertanto, l’accesso ai servizi bloccati dall’AGCOM era rimasto disponibile per gli utenti italiani proprio grazie allo “schermo” offerto dal DNS di CloudFlare.
Sulla base della perdurante violazione dei diritti d’autore sulle opere appartenenti al loro repertorio, le ricorrenti hanno dunque agito in via cautelare nei confronti di CloudFlare, che si è difesa sostenendo, tra l’altro, l’impossibilità tecnica di “filtrare” i siti bloccati senza penalizzare l’intero sistema di risoluzione DNS di tutti gli altri siti. Inoltre, sempre secondo la resistente, qualunque misura imposta dal Tribunale sarebbe stata inutile, dato che i siti illeciti in questione resterebbero comunque raggiungibili usando altri servizi DNS forniti da soggetti diversi.
Ma il Tribunale non ha condiviso gli argomenti della resistente, ritenendo che CloudFlare rivesta il ruolo di intermediario nella prestazione di servizi finalizzati allo svolgimento di un’attività illecita, peraltro già oggetto di provvedimenti disposti dall’AGCom.
Quanto all’esistenza di altri soggetti in grado di fornire i medesimi servizi, il Tribunale ha sottolineato come tale circostanza non sia assolutamente idonea a giustificare la violazione delle norme sul diritto d’autore. Infatti, anche se le misure inibitorie non dovessero essere sufficienti a far cessare completamente le violazioni dei diritti di proprietà intellettuale, tali misure comunque “devono avere l’effetto di impedire o, almeno, di rendere difficilmente realizzabili le consultazioni non autorizzate dei materiali protetti e scoraggiare seriamente gli utenti di Internet che ricorrono ai servizi del destinatario di tale ingiunzione dal consultare i contenuti messi a loro disposizione in violazione del diritto di proprietà intellettuale.
Pertanto, il Tribunale di Milano ha ordinato a CloudFlare di adottare tutte le misure tecniche necessarie a inibire l’accesso alle piattaforme torrent bloccate dall’AGCOM, vietando anche la risoluzione DNS di qualsiasi nome a dominio che renda comunque disponibili i servizi illeciti offerti dai siti bloccati e prevedendo una penale di € 10.000 per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione dell’ordinanza.
Ilaria Feriti