La normativa in materia di “Made in Italy”, adottata per tutelare l’eccellenza del manifatturiero italiano e proteggerlo dalle aggressioni dei concorrenti extra europei, è volta ad equilibrare interessi contrapposti: quelli del produttore, interessato a non subire la concorrenza sleale ed a tutelare la propria la capacità concorrenziale; e quelli del consumatore, la cui buona fede e diritto di informazione devono essere preservati. Tali esigenze devono armonizzarsi con la politica adottata dalla Unione europea, volta ad evitare restrizioni alla concorrenza ed alla libera circolazione delle merci.
Il Parlamento italiano, nella primavera 2010, ha adottato la legge n. 55/2010“Disposizioni concernenti la commercializzazione di prodotti tessili, della pelletteria e della calzatura” (pubblicata su GU n. 92 del 21/04/2010).
Il provvedimento, che riguarda undici settori merceologici, istituisce un nuovo sistema di etichettatura obbligatoria tale da evidenziare il luogo di origine di ciascuna fase di lavorazione, assicurando così la tracciabilità dei prodotti.
Stabilisce, inoltre, la facoltà per l’imprenditore di utilizzare la dicitura “Made in Italy” solamente se almeno due fasi di lavorazione vengono svolte sul territorio italiano, e se per le rimanenti fasi è verificabile la tracciabilità.
Sono state, infine, previste sanzioni amministrative pecuniarie, il sequestro e la confisca delle merci, in caso di violazione delle disposizioni del provvedimento, che se reiterata o commessa mediante attività organizzate è soggetta a sanzione penale.
Il legislatore nazionale non può, tuttavia, tralasciare gli obblighi che derivano dall’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea. All’esigenza di salvaguardia delle tradizioni industriali peculiari di ogni Stato membro deve, quindi, necessariamente accostarsi l’obiettivo unitario del buon funzionamento del mercato comune.
A tal fine, la direttiva 98/34/CE obbliga gli Stati membri a notificare alla Commissione europea i progetti di regolamentazioni tecniche prima che siano adottate nelle legislazioni nazionali. Relativamente alla legge n. 55/2010 (c.d. Legge Reguzzoni-Versace), la Commissione ha manifestato un parere contrario alla sua compatibilità con il diritto comunitario, attese le restrizioni che potrebbe causare alla concorrenza ed alla libera circolazione delle merci sul territorio europeo.
In primo luogo, è stata contestata al legislatore italiano la mancata comunicazione preventiva del disegno di legge, privando in tal modo la Commissione della facoltà di produrre osservazioni e rilievi su tale nuova regolamentazione, prima della sua entrata in vigore.
Il provvedimento è stato infatti sottoposto all’esame della Commissione a seguito della sua pubblicazione su Gazzetta Ufficiale, anche se prima dell’entrata in vigore dei regolamenti attuativi (fissata per il 1° ottobre, ma ad oggi non ancora adottati) che, ex art. 2 della legge in commento, avrebbero dovuto disciplinare “[…] le caratteristiche del sistema di etichettatura obbligatoria e di impiego dell’indicazione «Made in Italy», di cui all’articolo 1, nonché le modalità per l’esecuzione dei relativi controlli […]”.
La seconda eccezione è invece di carattere sostanziale, e tiene conto di due considerazioni.
Una relativa all’introduzione del criterio della prevalenza delle fasi della lavorazione del prodotto sul territorio nazionale, che si pone in contrasto con quanto previsto dall’art. 36 del Codice Doganale Europeo (Reg. n. 450/2008). Questo, infatti, individua come criterio di attribuzione della nazionalità ad un prodotto quello del luogo dell’ultima trasformazione sostanziale.
L’altra relativa all’introduzione del concetto di marcatura ed etichettatura nazionale. Il Direttore Generale, infatti, ricorda come la Corte di Giustizia europea si sia già pronunciata negativamente su tali sistemi, considerati contrari agli obiettivi del mercato interno, in quanto possono ostacolare la vendita in uno Stato membro di una merce prodotta in un altro Stato membro, facendo così venir meno i benefici del mercato interno.
L’Agenzia delle Dogane, con nota del settembre 2010, ha precisato che nell’espletamento della propria attività di controllo non considererà applicabili le nuove disposizioni sull’etichettatura nei settori considerati dalla legge n. 55/2010, sino a quando non saranno adottati i decreti attuativi di cui sopra.
Alla luce di tale nota, la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha adottato in data 30 settembre 2010 una direttiva nella quale conferma l’orientamento secondo cui la nuova normativa in materia di “Made in Italy” non sarà ritenuta applicabile sino a quando non saranno emanati i regolamenti attuativi, invitando tutte le amministrazioni pubbliche ad attenersi a questo indirizzo.
E’ infine opportuno ricordare come il Parlamento Europeo, nella seduta plenaria del 21 ottobre 2010 ha approvato il testo di un regolamento comunitario (“Indicazione del paese di origine di taluni prodotti importati da paesi terzi”) che istituisce l’obbligo dell’indicazione di origine per numerose categorie di prodotti importati da Paesi estranei all’Unione Europea.
Il documento, che è in attesa del vaglio del Consiglio, costituisce un nuovo ostacolo alla concreta applicabilità della legge n. 55/2010, che dovrà ritenersi inapplicabile, quanto meno per ciò che riguarda l’obbligo di etichettatura, nel momento in cui entrerà in vigore il sistema di etichettatura obbligatoria disciplinato con regolamento comunitario, fonte di rango superiore.
Nell’attesa che il regolamento venga adottato in sede europea, la tutela del consumatore contro le indicazioni non veritiere sull’origine dei prodotti rimane assicurata da una serie di norme che approntano forme di protezione e sanzioni sia in sede penale e amministrativa, quali:
§ art. 517 c.p. – punisce con la reclusione fino a due anni e la multa fino a € 20.000,00 la vendita di prodotti industriali con nomi, marchi o segni distintivi idonei ad indurre in inganno l’acquirente sull’origine, la provenienza o la qualità dei prodotti;
§ art. 4, co. 49 L. n. 350/2003 – fa rientrare nell’ipotesi di reato di cui all’art. 517 c.p. anche la commercializzazione di prodotti con indicazioni di origine e/o di provenienza false o fuorvianti;
§ art. 16 Dl. n. 135/2009 – sanziona con la pena di cui all’art. 517 c.p., aumentata di un terzo, l’uso di indicazioni di vendita quali “100% Made in Italy” o simili, che convincano falsamente circa l’intera realizzazione in Italia di un prodotto;
§ art. 4, co. 49 bis L. n. 350/2003 – prevede una sanzione amministrativa di importo tra €10.000,00 e €250.000,00 per chi utilizza un marchio con modalità tali ingannare il consumatore sull’origine italiana di un prodotto;
§ artt. 21–23 del Codice del consumo sulle pratiche commerciali ingannevoli.