La Corte di Giustizia ha stabilito che anche l’uso di un metatag o di un nome a dominio rientra nel concetto di pubblicità. L’affermazione può sembrare scontata ma non è affatto così.
Sui metatag più volte si era posto il problema dell’illiceità del loro uso e se usare come metatag marchi o nomi altrui potesse costituire concorrenza sleale dato che si tratta di parole nascoste che, come tale, non vengono immediatamente percepite dal consumatore come avviene invece per altre forme promozionali.
Nel caso Belgian Electronic Sorting Technology NV v Peelaers and another Case C-657/11 la Corte ha invece affermato che il fatto che non siano visibili non rileva in quanto comunque si tratta di «steps taken by a trader to promote the sale of his products or services that are capable of influencing the economic behaviour of consumers and, therefore, of affecting the competitors of that trader» e come tali devono rientrare nel concetto di pubblicità.
Ciò comporta che usare come metatag il marchio di un concorrente potrà essere considerato illecito e pubblicità ingannevole ai sensi della normativa comunitaria.
La Corte ha fatto rientrare nel concetto di pubblicità anche il nome di dominio precisando però che usare un certo dominio può costituire pubblicità ingannevole solo se il dominio è utilizzato e non anche se è stato solo registrato. È solo attraverso il sito Internet che il concorrente può raggiungere i consumatori e quindi alterare le loro scelte.
La Corte ha pertanto concluso che la nozione di “pubblicità” di cui all’articolo 2 della direttiva 84/450/CEE in materia di pubblicità ingannevole e all’articolo 2 della direttiva 2006/114/CE concernente la pubblicità ingannevole e comparativa deve essere interpretata nel senso che essa comprende sia l’uso di un nome di dominio sia l’uso di “metatags” con tutte le relative conseguenze.
Il concetto di pubblicità è molto ampio nelle due direttive e può ben comprendere anche i metatag ed i domain name. La conseguenza è che occorre porre particolare attenzione nel loro uso in quanto c’è il rischio di essere chiamati a rispondere di atti di concorrenza sleale o di contraffazione marchio se si violano diritti di terzi.