Corte di Cassazione, Sez. III Penale, sentenza n. 21839/2011
Chiunque pubblichi sul web un numero di cellulare senza il consenso del titolare è punito con la reclusione da 6 a 24 mesi.
Questa la decisione della Corte di Cassazione, che ha condannato un privato per aver diffuso l’utenza mobile di un terzo su una chat pubblica, in seguito ad un diverbio avuto con lo stesso.
I Giudici hanno ritenuto che l’art. 167 del Codice Privacy (rubricato “Trattamento illecito di dati”) trovi applicazione nei confronti di qualunque soggetto, anche privato, che abbia indebitamente diffuso “dati sensibili”, a prescindere dalle modalità con cui si è entrati in possesso dei dati.
Il giudice di legittimità ha precisato che il concetto di “trattamento” deve essere inteso in senso ampio, estendendosi, quindi, non solo alla raccolta dei dati sensibili, ma anche e soprattutto alla diffusione senza il consenso dell’interessato. Di conseguenza, la diffusione non consentita in ambito generalizzato, quale una chat pubblica, di un numero di utenza privata, per sua natura riservato, è in re ipsa produttiva di danno, e rientra nelle fattispecie descritte dall’art. 167.
La decisione ha suscitato dubbi in merito alla identificazione dell’utenza di cellulare quale “dato sensibile”, che il Codice Privacy definisce come “[…] dati personali idonei a rivelare l‘origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l’adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonche’ i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale […]”, per i quali la legge dispone specifici obblighi di sicurezza.