La Corte di Giustizia UE conferma la responsabilità dei fornitori di servizi online

Con sentenza del 26.4.2022 (causa C‑401/19), la Corte UE ha confermato la legittimità della recente direttiva UE 2019/790 sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale, respingendo il ricorso avanzato dalla Polonia. Le censure mosse dalla Polonia riguardavano il nuovo regime di responsabilità dei fornitori di servizi online di condivisione di contenuti e, soprattutto, l’asserita incompatibilità di tali responsabilità con il diritto alla libertà di espressione e di informazione per gli utenti.

La nuova direttiva UE 2019/790 sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale (che abbiamo trattato in questo articolo) mira ad armonizzare ulteriormente il diritto dell’Unione applicabile al diritto d’autore, alla luce della crescente complessità che caratterizza il funzionamento del mercato dei contenuti digitali. Infatti, i servizi di condivisione sono diventati veicolo primario di accesso ai contenuti e, di conseguenza, fonte principale di condivisione di opere culturali e creative.

Tuttavia, questi servizi presentano significative criticità quando i contenuti vengono caricati dagli utenti senza l’autorizzazione di chi detiene i diritti d’autore sui contenuti stessi. Infatti, in questi casi, non è chiaro se le varie piattaforme debbano ottenere una specifica autorizzazione per i contenuti caricati dai loro utenti e questa situazione di incertezza si ripercuote sulla possibilità dei titolari dei diritti d’autore di sfruttare economicamente le proprie opere.

In questo contesto, la nuova direttiva UE incoraggia la conclusione di licenze tra titolari dei diritti e fornitori di servizi di condivisione online, prevedendo uno specifico meccanismo di responsabilità a carico dei fornitori per i casi in cui non sia stata concessa alcuna autorizzazione.

Tale meccanismo, disciplinato dall’art. 17 della direttiva UE 2019/790, prevede che in assenza di una specifica autorizzazione i fornitori sono responsabili per ogni atto di diffusione dei contenuti protetti “a meno che non dimostrino che: a) si sono adoperati per ottenere l’autorizzazione; e b) si sono adoperati al meglio, in conformità con gli elevati standard del settore in materia di assistenza professionale, per garantire l’indisponibilità di opere specifiche e altri materiali per i quali i titolari dei diritti hanno fornito ai prestatori di servizi le informazioni pertinenti e richieste; e in ogni caso c) hanno agito tempestivamente, previa notifica sufficientemente motivata da parte dei titolari dei diritti, per bloccare l’accesso alle opere e ad altro materiale oggetto della notifica o per rimuoverle dai loro siti web, e si sono adoperati per impedirne la caricati in futuro, ai sensi del punto b)”.

Secondo la Polonia, il predetto articolo violerebbe il diritto alla libertà di espressione e di informazione degli utenti, garantito dall’art. 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, perché obbligherebbe i fornitori a monitorare, in via preventiva, tutti i contenuti che i propri utenti desiderano mettere online attraverso strumenti informatici di filtraggio automatico.

Tuttavia la CGUE, pur riconoscendo che la direttiva comporta una limitazione alla libertà di espressione e di informazione, ne conferma la legittimità alla luce del principio di proporzionalità.

Infatti, la Corte ha chiarito che la direttiva garantisce un equilibrio tra la libertà di espressione e la libertà delle arti, da un lato, e il diritto di proprietà intellettuale dall’altro. Agli utenti resta infatti consentito caricare e condividere contenuti per scopo di critica, discussione, citazione, caricatura o parodia. Inoltre, la direttiva impone l’adozione di meccanismi di ricorso tempestivi ed efficaci che consentono agli utenti di presentare un reclamo contro le azioni dei fornitori che comportino il blocco o la rimozione del contenuto.

A queste condizioni, per evitare di essere ritenuti responsabili quando gli utenti caricano illegittimamente contenuti sulle loro piattaforme, i fornitori di servizi devono dimostrare di aver fatto del loro meglio per ottenere un’autorizzazione da parte del titolare dei diritti d’autore. Detta disposizione si limita a richiedere ai fornitori di prestare il loro “miglior impegno” e “nel rispetto degli elevati standard del settore in termini di diligenza professionale“, con una formulazione sufficientemente aperta da potersi adattare a situazioni mutevoli.

Sulla base di queste considerazioni, la Corte ha respinto il ricorso affermando che “spetta agli Stati membri, nel recepire l’articolo 17 della direttiva 2019/790 nel loro diritto nazionale, assicurarsi di fare affidamento su un’interpretazione di tale disposizione che consenta di garantire un giusto equilibrio tra i vari diritti fondamentali tutelati dalla Carta”.                                                                                                                                                    

Ilaria Feriti