Il Tribunale dell’Unione Europea, con decisione del 6 luglio 2022 resa nel caso T-250/21, Zdút c. EUIPO si è pronunciato in tema di marchio registrato in malafede, offrendo interessanti spunti in merito.
Giova ricordare che, ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 1, lettera b) del regolamento sul marchio dell’Unione Europea, su domanda presentata all’EUIPO o su domanda riconvenzionale in un’azione per contraffazione, un marchio dell’Unione europea è dichiarato nullo allorché, al momento del deposito della domanda di registrazione, il richiedente ha agito in malafede.
Deposito di marchio in malafede: quando sussiste?
Benché la nozione di malafede non sia definita dalla normativa marchi, la giurisprudenza europea, in più pronunce sul tema, ha statuito che questa emerge laddove il titolare di un marchio presenti la domanda di registrazione con l’intenzione di pregiudicare interessi di terzi o comunque con l’intenzione di ottenere un diritto esclusivo per scopi diversi da quelli rientranti nelle funzioni tipiche di un marchio, con un obiettivo, in sostanza, diverso rispetto a quello di partecipare in maniera leale alle vicende della concorrenza.
È proprio invocando tale motivo di nullità, che i nipoti di un celebre imprenditore degli anni ‘30 che aveva creato in Cecoslovacchia una nota impresa di prodotti di abbigliamento e accessori contraddistinti da un marchio nazionale identico a quello contestato, presentavano domanda di nullità all’EUIPO affermando che il nuovo titolare fosse in malafede al momento del deposito della sua domanda di registrazione.
In prima istanza, la divisione di annullamento EUIPO, respingeva la domanda di dichiarazione di nullità posto che la malafede del nuovo titolare, che avrebbe dovuto sussistere al momento del deposito della sua domanda di registrazione, non era stata dimostrata.
La seconda commissione di ricorso dell’EUIPO, tuttavia, annullava la decisione di prima istanza accogliendo il ricorso dei nipoti e dichiarando la nullità del marchio contestato.
La commissione, in particolare, sosteneva che l’intenzione del nuovo titolare fosse quella di trarre indebito vantaggio dalla notorietà del vecchio marchio cecoslovacco, certamente rinomato ed oggetto di uso effettivo in Cecoslovacchia negli anni ’30. Considerato, tra gli altri aspetti, che il vecchio marchio conservava una certa notorietà residua, la commissione concludeva che il nuovo titolare fosse in malafede al momento del deposito della nuova domanda di registrazione.
Contro tale decisione ricorreva tuttavia il nuovo titolare, chiedendo al Tribunale dell’Unione Europea di voler annullare la pronuncia della Commissione EUIPO.
Il ricorrente affermava, in sostanza, che allo stesso non potesse essere addebitata alcuna intenzione disonesta posto che, da un lato, i nipoti non avrebbero dimostrato che il vecchio marchio cecoslovacco fosse ancora registrato o utilizzato alla data del deposito del nuovo marchio e, dall’altro, i nipoti neppure avrebbero dimostrato che il vecchio marchio godesse di una notorietà residua alla data di deposito del marchio contestato.
In sostanza, il ricorrente era dell’opinione che sia l’imprenditore che il vecchio marchio cecoslovacco fossero stati completamente dimenticati.
Il Tribunale, in effetti, osservava che non sussisteva alcun elemento che dimostrasse che il primo marchio ed il suo titolare godessero di notorietà residua. Le sole due prove presentate dai nipoti a sostegno della celebrità, quali un estratto dell’enciclopedia Wikipedia ed una tesi universitaria avente ad oggetto l’impresa del celebre imprenditore degli anni ’30, sono infatti state ritenute inconcludenti.
Orbene, posto che la malafede, è possibile, in linea di principio, solo se il segno in questione gode effettivamente e attualmente di una certa notorietà o di una certa celebrità, nel caso in esame, in assenza di una comprovata notorietà residua del vecchio marchio, l’uso successivo da parte del ricorrente non è stato qualificato idoneo a costituire comportamento in malafede.
Addirittura, il Tribunale osservava che il ricorrente aveva senz’altro compiuto uno sforzo commerciale proprio per far ‘rivivere’ l’immagine del marchio e per ripristinare, a sue proprie spese, detta celebrità e che tali comportamenti non sono affatto contrari agli usi consueti di lealtà in campo industriale o commerciale.
La condotta del ricorrente, posto che non integrava malafede, non è quindi apparsa censurabile. Per tale motivo, il Tribunale ha accolto la domanda del ricorrente annullando la decisione della seconda commissione di ricorso dell’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO).
Giulia Mugnaini