Usi leciti di marchi altrui: il caso Zara

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE), con la sentenza datata 11 gennaio 2024, si è pronunciata in merito all’interpretazione di una norma relativa all’utilizzo di marchi di terzi nell’ambito di una vicenda che ha visto contrapposti, da un lato, la società spagnola titolare del marchio «ZARA» e, dall’altro, un fornitore di servizi di informazione il quale aveva lanciato una campagna pubblicitaria nella quale veniva utilizzato il marchio in questione ma senza il consenso della società titolare.

Il caso

Il fornitore, convenuto nell’azione di contraffazione di marchio avviata di fronte al tribunale spagnolo, si difendeva negando l’esistenza di una violazione dei diritti conferiti dal noto marchio di abbigliamento e sostenendo, invero, di aver fatto del segno ZARA un mero uso «referenziale» (rientrante negli usi leciti di marchi altrui) volto, in sostanza, ad indicare in che cosa consistesse uno dei premi offerti ai vincitori (un «buono regalo ZARA» appunto).

La Corte Suprema spagnola, chiamata a pronunciarsi sulla vicenda e al fine di dirimerla, riteneva opportuno sospendere il procedimento per chiedere alla Corte di Giustizia UE come dovesse essere interpretata la norma applicabile al caso in questione e cioè l’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2008/95/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 ottobre 2008 sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa.

In particolare, si rendeva opportuno chiarire se questa norma, relativa agli usi leciti di segni distintivi di terzi, dovesse essere interpretata nel senso che essa riguardava un qualsiasi uso del marchio nel commercio da parte di un terzo per identificare, conformemente agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale, prodotti o servizi come prodotti o servizi del titolare di tale marchio oppure nel senso che essa riguardava unicamente un uso di tale marchio necessario per contraddistinguere la destinazione di un prodotto commercializzato da tale terzo o di un servizio offerto da quest’ultimo.

Pertanto, il Giudice Europeo, investito della questione pregiudiziale, ricordava -in primo luogo- che quando si interpreta una disposizione del diritto dell’Unione occorre tenere conto non soltanto della formulazione di quest’ultima, ma anche del suo contesto e degli obiettivi che persegue l’atto di cui fa parte.

Conclusioni

Così, anche alla luce degli obiettivi perseguiti dalla direttiva, il Giudice chiarisce che l’articolo 6 deve essere interpretato nel senso che “esso riguarda un uso del marchio di impresa nel commercio da parte di un terzo per identificare, conformemente agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale, prodotti o servizi come prodotti o servizi del titolare di tale marchio, o per farvi riferimento, unicamente quando un simile uso del marchio sia necessario per contraddistinguere la destinazione di un prodotto commercializzato da tale terzo o di un servizio offerto da quest’ ultimo”.

Pertanto, nel caso di specie, alla luce dell’interpretazione fornita dalla Corte Europea, spetterà al giudice spagnolo determinare se il convenuto nell’azione di contraffazione – con la sua campagna pubblicitaria lanciata per un abbonamento a uno dei suoi servizi che consentiva la partecipazione a un’estrazione a sorte di cui uno dei premi consisteva in un «buono regalo ZARA» – abbia fatto un uso del marchio necessario per contraddistinguere la destinazione di un servizio da lui offerto nonché, eventualmente, se tale uso fosse conforme agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale.

 

Giulia Mugnaini