I limiti del diritto all’oblio nell’era digitale

Con sentenza n. 3952 dell’8.02.2022, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sul diritto all’oblio, ribadendo la necessità di svolgere un’attenta ponderazione tra il diritto dell’interessato ad essere dimenticato e il diritto alla diffusione e all’acquisizione delle informazioni.

Il caso riguardava la richiesta, rivolta al gestore di un noto motore di ricerca, di rimuovere dai risultati delle ricerche on line diversi URL che collegavano il nome di un utente a una vicenda giudiziaria. In particolare, il ricorrente aveva fatto presente che il motore di ricerca associava il proprio nome a un dissesto finanziario che era stato oggetto di interesse mediatico ma che, essendo ormai risalente nel tempo, era divenuto estraneo al diritto di cronaca.

Il Garante Privacy aveva accolto la richiesta, ordinando al gestore di rimuovere gli URL che rinviavano alla vicenda in cui era stato coinvolto l’interessato e di cancellare anche le copie cache delle pagine accessibili attraverso i predetti URL. Contro il provvedimento del Garante era stato proposto ricorso da parte del gestore, che ne chiedeva l’annullamento nella parte in cui disponeva anche la cancellazione delle copie cache delle pagine web.

La Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sulla questione, ha accolto le ragioni del gestore del motore di ricerca, chiarendo i presupposti del diritto all’oblio e le sue modalità di esercizio.

In via preliminare, la Corte precisa che al Garante era stata richiesta la rimozione, dai risultati delle ricerche su internet, di URL che collegavano il nome dell’interessato alla vicenda che lo aveva visto protagonista di diversi articoli di giornale.

Detta richiesta – precisa la Corte – era quindi una richiesta di deindicizzazione, ossia di una misura idonea a escludere che il nome del soggetto comparisse tra i risultati di una ricerca svolta a partire dal nome del soggetto. Detto altrimenti, la deindicizzazione non elimina completamente l’informazione, ma evita che una ricerca svolta a partire dal nome di una persona restituisca un elenco di risultati collegati a quell’informazione. Quindi non vengono eliminati dati, ma si elimina una particolare modalità di ricerca dei dati, che restano però presenti in rete e accessibili attraverso una ricerca più complessa e mirata, ad esempio raggiungendo il sito che li ospita (c.d. sito sorgente) o utilizzando altre parole-chiave per la ricerca.

Tuttavia, il Garante aveva disposto non solo la deindicizzazione, ma anche l’eliminazione delle copie cache delle pagine accessibili attraverso gli URL degli articoli relativi alla vicenda. Detta eliminazione, in sintesi, avrebbe comportato la cancellazione definitiva dei contenuti, con conseguente impossibilità per il gestore di indicizzarli e impossibilità per gli utenti di accedervi.

La Corte ha ritenuto che la misura della cancellazione delle copie cache non fosse idonea a garantire il giusto equilibrio tra l’interesse del singolo ad essere dimenticato e l’interesse della collettività ad essere informata.

La questione riveste un’importanza centrale nel contesto attuale, dove l’avvento dell’era digitale consente di reperire con estrema facilità notizie e informazioni, anche molto datate. Tale vantaggio, però, si accompagna al rischio di vedersi associati in perpetuo a fatti che nulla hanno più a che vedere con l’identità del soggetto: perché se è vero che le informazioni conservate sui supporti informatici restano statiche e immutabili, non è altrettanto vero che l’identità di una persona resti ancorata alla rappresentazione che la memoria collettiva si è costruita grazie ai dati cristallizzati sul web.

Al riguardo, la Corte ha affermato che la misura della deindicizzazione può rappresentare il punto di equilibrio tra gli interessi coinvolti, perché l’interesse alla conoscenza dell’informazione riguardante il fatto è salvaguardato attraverso l’accesso al sito, o alla copia di esso, che si attua attraverso altre chiavi di ricerca; ma è tutelata, al contempo, la sfera personale del soggetto coinvolto nella vicenda, giacché la deindicizzazione esclude che l’utente di internet possa apprendere del fatto storico in conseguenza di una ricerca nominativa che miri ad altri risultati o che sia animata da mera curiosità per aspetti della vita altrui su cui l’interessato voglia mantenere il riserbo”.

Al contrario, la cancellazione totale della notizia dal web rappresenta una soluzione estrema, che deve essere disposta solo dopo aver valutato e ponderato attentamente tutti gli interessi in gioco.

 

 Ilaria Feriti